Omicron, Sergio Abrignani: "Basta panico, fa bene chi esce. Perché dobbiamo vivere normalmente"
Niente panico. «Ci sono duecentomila nuovi contagiati al giorno e una media di duecento morti, con 1500 persone in terapia intensiva, ma sono molto meno preoccupato dell'anno scorso, quando con anche 10 volte meno positivi avevamo fino a 4-5 volte più decessi e siamo arrivati a più di quattromila persone ricoverate in urgenza». Più lo ascolti e più ti chiedi se Sergio Abrignani appartenga davvero a quel Comitato Tecnico Scientifico che da due anni terrorizza il Paese. L'immunologo dell'Università di Milano dovrebbe essere la tanto auspicata unica voce delle istituzioni in materia di Covid. Non la spara grossa, non piega la realtà agli obiettivi del governo, non specula sul proprio sapere, è un cronista della pandemia informato e competente. «I numeri» spiega Abrignani, «ci dicono che l'anno scorso avevamo almeno due decessi ogni cento contagiati, oggi ce n'è uno su 500-1000. Se non fossimo vaccinati cosi estensivamente, benché pare che Omicron dia il 40-50% meno di casi di malattia severa rispetto alle varianti precedenti, con questo tasso di contagi oggi probabilmente viaggeremmo al ritmo di 2.000 morti al giorno e almeno diecimila persone che necessiterebbero di terapia intensiva (piu dei posti totali disponibili in Italia)».
E se invece tutta Italia fosse vaccinata?
«Tutte le Regioni sarebbero in zona bianca e avremmo solo 500 posti occupati in terapia intensiva anziché gli attuali 1.500, visto che chi ha rifiutato il vaccino rappresenta più del 65% dei ricoverati gravi, su una popolazione a rischio (gli ultracinquantenni) non vaccinata che è solo il 7% del totale dei cittadini (2,2 milioni)».
Perché non è troppo preoccupato malgrado duecento morti al giorno?
«Gli ultrasessantenni in Italia sono circa 19 milioni. Di questi, i non vaccinati sono un milione e 200mila: significa che la metà dei morti e il 70% dei ricoverati gravi appartiene a una categoria che rappresenta il 2% della popolazione. Ma soprattutto vuol dire che, se oggi tutti fossimo vaccinati, ci sarebbero 90-100 decessi in meno al giorno. Di questo sì che sono preoccupato perché, con le attuali incidenze d'infezione, nei prossimi 30 giorni moriranno di Covid 2500-3000 italiani non vaccinati che non dovrebbero morire: saranno morti senza motivo, per i quali i cattivi maestri che blaterano di libertà violata dall'obbligo vaccinale dovrebbero solo tacere».
Però muoiono anche i vaccinati...
«Sì, ma la stragrande maggioranza di loro ha più di ottant' anni e chi è più giovane soffriva già di serie patologie pregresse. Comunque, prima dei vaccini un ottantenne che si ammalava di Covid aveva il 27% di probabilità di non sopravvivere; il 13% dopo i settant' anni e il 4% a sessant' anni».
E oggi invece, con i vaccini, quante sono le probabilità di morire?
«In media una su mille, più o meno come con l'influenza. Poi ovviamente dipende dall'età e dalla situazione sanitaria generale. Oggii vaccinati giovani e quelli anziani in buone condizioni non muoiono. I positivi immunizzati che non ce la fanno, muoiono, come con l'influenza, che è solo un detonatore che infiamma una situazione già compromessa».
Ho capito bene, professore: per i vaccinati Omicron è letale quanto l'influenza di stagione?
«Prima della pandemia l'influenza infettava quattro-sei milioni di italiani negli anni fortunati e dieci-dodici milioni in quelli neri, con una letalità dello 0,1%, simile al Covid oggi sugli immunizzati. C'è una quasi totale sovrapponibilità tra le vittime di influenza e quelle di Covid vaccinate: anziani già malati che muoiono per complicanze che seguono l'infezione».
Perché allora il Covid spaventa così tanto più dell'influenza?
«C'è un panico diffuso dovuto ai 140mila morti in due anni. Le bare di Bergamo e Brescia non sono state dimenticate, eppure ormai appartengono a una storia diversa: non c'erano i vaccini, non si sapeva come curare il virus, il 2-3% dei contagiati moriva e si poteva andare all'altro mondo anche a cinquant' anni, come può avvenire oggi ai non vaccinati».
Colpa nostra se abbiamo paura?
«C'è un'ansia che ci auto-generiamo. Fa bene chi prova a vivere normalmente, va al ristorante, al lavoro, in palestra. In Gran Bretagna si comportano diversamente, hanno deciso di convivere con la loro fragilità, che poi è la fragilità dell'essere umano, e di accettare il fatto che, se si infettano duecentomila persone, ne muoiono 200 ma il sistema sanitario non collassa e la vita del Paese procede».
Duecentomila contagi al giorno però...
«Sbagliamo la comunicazione: non ha senso dare il numero dei positivi, la stragrande maggioranza dei quali asintomatici o con lievi patologie. Bisognerebbe aggiornare solo il numero dei ricoveri. In nessun'altra malattia infettiva si comunica ossessivamente il numero di casi asintomatici, ma solo il numero di malati».
E i cento vaccinati che muoiono ogni giorno?
«Sono un dramma enorme, però quasi tutti i vaccinati che muoiono hanno superato l'aspettativa di vita media di un italiano. Probabilmente dovremo accettare di vivere con l'idea che si possa morire di Covid, così come accettiamo da decenni che 5-15mila italiani anziani muoiano ogni inverno a causa dell'influenza».
Perché questo boom di positivi malgrado i vaccini, professore?
«Perché Omicron infetta quattro-cinque volte più di Delta; però dà complicanze polmonari solo nella metà dei casi rispetto alle precedenti varianti».
Già, ma i vaccini non dovrebbero proteggere?
«Abbiamo dei vaccini non ideali, perché proteggono dall'infezione nel 70-75% dei casi dopo tre dosi, e per un tempo limitato».
Questo è un argomento a favore dei no vax...
«No. Il vaccino è fondamentale perché protegge al 90% per lungo tempo dalla malattia severa».
Se la durata è limitata ci toccherà anche la quarta dose, e magari pure la quinta e la sesta?
«Le tre vaccinazioni, due ravvicinate e la terza di rinforzo dopo 4-6 mesi sono la prassi per moltissimi vaccini, quindi finora siamo nella normalità. Certo la terza iniezione normalmente dà il cosiddetto effetto "booster", che innesca una memoria immunologica che garantisce anche cinque-dieci anni di protezione mentre le prime due hanno una efficacia breve. Nel caso del Covid si è deciso di correre, data l'emergenza pandemica, registrando i vaccini con i dati delle due dosi, perché altrimenti i vaccini con tre dosi sarebbero arrivati non a dicembre 2020 ma a giugno 2021 e ricordiamoci che solo in Italia era l'inverno dei 15-18 mila morti al mese».
Quindi faremo la quarta dose. Possiamo dirlo?
«Se in autunno saremo ancora in pandemia e servirà avere una risposta molto forte contro la variante Omicron, è possibile una quarta dose, che sarebbe però la prima con un vaccino specifico per omicron. Non penso che servirà una quarta dose con il vecchio vaccino Wuhan, ma aspettiamo i dati d'Israele per capire il reale vantaggio della quarta dose sui soggetti ultra60enni. Comunque anche se si dovesse fare, io non capisco dove sta lo scandalo, ci sono persone che per terapia si fanno una puntura al giorno, con l'influenza facciamo un vaccino diverso ogni anno e ricordiamoci che questo contro il Covid è un vaccino salva-vita».
Il punto è che molti temono che i vaccini produrranno nel tempo effetti collaterali pericolosi...
«Di tutti i 27 vaccini che usiamo da decenni al mondo, gli effetti collaterali si manifestano al massimo entro poche settimane. Dopo gli studi per l'autorizzazione alla vendita, effettuati come sempre su 20-40mila persone, i vaccini anti-Covid sono stati usati nella vita quotidiana su miliardi di persone».
La quarta dose alimenterà ulteriormente le polemiche: i no vax diranno che il governo arricchisce le case farmaceutiche sulla pelle dei cittadini...
«Casomai, salvando la pelle dei cittadini, visto che tutti i dati ci dicono che chi si è immunizzato si ammala e muore di meno. Vorrei però dire che i vaccini e i farmaci negli ultimni 60 anni ci hanno regalato 25 anni di vita media in più e che i Paesi dove le case farmaceutiche non fanno profitti erano quelli come l'Unione Sovietica, dove al tempo del crollo del Muro si moriva ancora di difterite».
Il capitolo scuola è uno dei simboli dell'isteria collettiva: perché devono chiudere se gli altri luoghi di lavoro restano aperti?
«A me sembrerebbe folle chiudere le scuole e tenere aperti le palestre o i cinema. Di più, sarebbe inaccettabile, ne va del futuro dei nostri figli, basta guardare i dati sul crollo degli ultimi test INVALSI nella nostra popolazione scolastica».
Chi vuol chiudere le scuole sostiene che i bambini non sono vaccinati...
«Abbiamo una campagna di vaccinazione sui minori in corso: se chiudiamo le scuole come possiamo chiedere ai genitori di vaccinare i figli?».
Si dice che i bambini contagiano i nonni...
«Siamo in pandemia, serve senso di responsabilità da parte di tutti. Ritengo sia più importante che un bambino vada a scuola e magari non veda il nonno per un paio di mesi».
E la tombola dei contagiati per classe, con cifre diverse a seconda dell'ordine di studi?
«Penso che dietro la logica di mandare a casa i più piccoli con meno contagi per classe rispetto ai più grandi ci sia l'intenzione di spingere le famiglie a vaccinare chi ha meno di dodici anni. Penso che se i bimbi fossero vaccinati come gli adolescenti, il parametro salirebbe».
Senta professore, le Regioni chiedono di cambiare il criterio con il quale si conteggiano i positivi...
«Hanno ragione: se uno va in ospedale per togliere l'appendicite e al tampone di prassi per chi arriva si scopre positivo, non può risultare un ricoverato per Covid. Questi positivi in realtà, come la maggior parte, non sono malati, e pertanto non è giusto che il loro numero influenzi le decisioni sul colore delle Regioni, che poi condizionano la vita di tutti».
Allora andrebbe anche rivisto il criterio per calcolare i morti?
«In Italia siamo più rigorosi che altrove nel battezzare un decesso come dovuto al Covid. Se da noi allo scoppio della pandemia la letalità era al 4-5% e in Germania allo 0,5% la ragione prevalente era che i criteri di calcolo erano diversi: noi probabilmente classifichiamo come morti da Covid anche i positivi stroncati da altre patologie».
C'è chi sta tornando a parlare di lockdown, lei cosa ne pensa?
«Totalmente contrario. Sarebbe in contraddizione con lo spirito della vaccinazione di massa».
L'immunità di gregge? L'Inghilterra ci aveva provato ma ha desistito...
«Ci provò senza vaccini e fu costretta a tornare indietro, perché sarebbe morto un inglese su 70-80. Ora, con i vaccini, ci sta riprovando e ha i nostri stessi dati. La cultura anglosassone però è diversa: loro accettano più di noi la fragilità della vita umana, noi forse pecchiamo di presunzione e pensiamo ancora che nel nostro mondo non si dovrebbe morire di nuove malattie infettive ma solo di tumori e malattie cardiovascolari. Gli inglesi, se un anziano malato muore di Covid accettano che anche nel nostro ricco mondo occidentale si possa morire di una nuova malattia infettiva, noi questo ragionamento ora lo facciamo per l'influenza; probabilmente più in là lo faremo anche con questo virus».
Cosa pensa dell'ossessione tamponi?
«Al di fuori di un ospedale, il tampone andrebbe fatto solo se lo impone la legge (per il green pass), se si è sintomatici, per stabilire la fine di una positività o per stabilire se si è positivi dopo un contatto stretto con un positivo. Non andrebbe fatto dopo un contatto passeggero con un positivo, non per andare a cena da amici o a pranzo dal nonno. Basta con l'ansia che ci impone di verificare continuamente se siamo negativi, anche perché l'esito ha valore solo per quel momento».
E dello smart-working?
«Le persone si infettano anche in famiglia, al ristorante o sui mezzi pubblici. Il lavoro, se vengono rispettate le regole, è uno dei luoghi più sicuri. Mi lasci tornare sul concetto più importante: bisogna vaccinarsi, il vaccino è come il casco per il motociclista, può salvare la vita. Se muori da vaccinato è come quando muori pur indossando il casco, può succedere ma hai fatto il possibile per evitarlo. Ma morire da non vaccinati significa andarsela a cercare, proprio come girare in moto senza casco, aumenti il rischio enormemente in modo stupido».