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Covid e Omicron, scuola in tilt. I presidi scrivono a Draghi: "Non possiamo aprire, chiusi fino a febbraio"

Claudia Osmetti
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Più che la campanella, qua rischia di suonare l'allarme. Quello del caos che sta (già)travolgendo il mondo della scuola, alla ripresa dopo la pausa natalizia. Da una parte le nuove regole per la ripartenza delle lezioni, in presenza o con la didattica a distanza; dall'altra i contagi che schizzano in su, modello montagne russe. Più di 200mila in un giorno solo, ieri. Non era mai successo. Sulla lavagna c'è scritto "Omicron" e non promette niente di buono, tant' è che i presidi stanno chiedendo la dad per tutto gennaio. Anche perché, fuori, in aula professori, regna l'incertezza. Il testo definitivo dell'ultimo decreto del Consiglio dei ministri, quello del 5 gennaio, non è ancora arrivato, circola appena una bozza, si va per tentativi. Nel migliore dei casi è la Asl del territorio che prova a sintetizzare, con un diagramma a incastro che pare la tavoletta del gioco dell'oca. Fino a un caso di positività in classe si fanno due tamponi a distanza di cinque giorni, poi scatta l'auto-sorveglianza che vuol dire distanziamento e mascherine Ffp2; se gli infetti sono due o più, subentra la dad.

 

 

 

 

Questo alle elementari, e va da sé che immaginarsi un bimbo di sette anni che si auto-sorveglia è una mezza barzelletta. Alle medie e superiori la procedura cambia: con due alunni positivi la didattica digitale integrata riguarda solo quelli che il vaccino se lo sono fatti da oltre 120 giorni oppure non se lo son fatti per niente, tutti gli altri restano in presenza, con le limitazioni del caso. «Non abbiamo capito nulla», dice la maestra di una scuola primaria in provincia di Sondrio. Dovrebbe riprendere servizio questa mattina, lei: il suo è uno dei pochi plessi in tutto il Paese che hanno deciso per le vacanze brevi. Ma ancora ieri sera aspettava indicazioni precise. Così ha passato il pomeriggio dell'Epifania con il cellulare in mano: su una linea la preside, sull'altra l'Ufficio scolastico, su Whatsapp i messaggi che trillavano di continuo, decine di genitori che volevano sapere come organizzarsi. Una parola. «Abbiamo alcuni bambini, per esempio, che hanno fatto il Covid prima delle vacanze. Adesso sono negativi, ma nel frattempo si è contagiato qualcuno in famiglia, la mamma o il papà. Ovviamente vivono nella stessa casa e, essendo piccoli, stanno in contatto. Cosa dobbiamo fare?».

 

 

 

 

 

Il diritto all'istruzione è sacrosanto, vero, mica puoi dirgli signora-lo-tenga-a-casa. E infatti loro ci provano, a far quadrare il quadrabile: «Ma queste situazioni borderline ci sono dappertutto». E fosse solo quello. L'idea di distinguere tra vaccinati e non, per i più grandicelli, non è andata giù a molti. Prima son sbottati i sindacati: «Così la scuola perde la sua missione di luogo di coesione sociale», ha commentato Marcello Pacifico, il segretario della sigla Anief. Poi i presidi: «È una misura discriminatoria», ha rimbottato il presidente dell'Associazione dei dirigenti scolastici, Antonello Giannelli. Nel mezzo c'è il nodo privacy perché, se da un lato il certificato vaccinale piace poco agli addetti ai lavori, dall'altro è pure di impossibile consultazione. «Noi non possiamo chiedere ai nostri studenti se han fatto o meno la puntura», continua la maestra, «e non sarebbe nemmeno un nostro compito».

 

Il Miur, cioè il ministero dell'Istruzione, dovrebbe a questo proposito fornire dei chiarimenti, ma lo farà solo nei prossimi giorni e, intanto, per chi ha già riaperto il registro e sta facendo l'appello campacavallo. Il risultato è che, ieri pomeriggio, i responsabili dei plessi di mezza Italia si son messi al tavolino e han tirato giù un appello, firmato in poche ore da 1.500 (su un totale di 8mila) per rinviare il ritorno in classe almeno al 24 gennaio. La lettera è indirizzata al premier Mario Draghi e al ministro competente Patrizio Bianchi. È che c'è anche il nodo presenze e rischia di pesare parecchio: «Su un organico di diciassette maestre, da noi tre sono in malattia», spiega la maestra in Valtellina, «facciamo i salti mortali, è il nostro lavoro. Però così è difficile». Appunto: le stime (al ribasso) di queste ore parlano di circa 20mila insegnanti e più di 300mila alunni tra i sei e i 19 anni in quarantena. Per il personale non docente, tra l'altro, un dato preciso non è stato nemmeno stilato. Con questi numeri, il disastro è annunciato. Altro che ritorno alla normalità.

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