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Decreto Covid, obbligo vaccinale per gli over 50. Le multe (salate) per chi trasgredisce

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Antonio Rapisarda
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A quasi due anni dall'arrivo del Covid è giunta la misura tanto invocata dal grosso dei virologi e da molti politici: l'obbligo vaccinale. Al momento limitato agli over 50. Una misura impegnativa questa licenziata ieri dal Consiglio dei ministri, anche dal punto di vista giuridico, ma del tutto appropriata. Ne è certo Felice Giuffrè, esperto e ordinario di Diritto Costituzionale dell'Università di Catania, la cui premessa, interpellato da Libero, è che si tratta di una misura «certamente conforme ai parametri costituzionali». La chiave di volta è l'articolo 32, che prevede il valore della salute come fondamento di un diritto individuale, «ma anche come interesse della collettività».

Secondo questo valore, spiega il professore, il legislatore può imporre ai singoli trattamenti sanitari «per garantire la salute di tutti, anche se ciò dovesse determinare taluni rischi calcolati». Anche questo "rischio" è inserito nella Carta. «Si tratta di una specifica declinazione dei doveri di solidarietà previsti dall'articolo 2, in parallelo al riconoscimento dei diritti e delle libertà individuali». Insomma, se si è membri di una comunità organizzata, oltre ai benefici della vita in comune, è necessario recepire alcuni obblighi «o, se si preferisce, ragionevoli "sacrifici" individuali».

 

 

È accettabile, però, un obbligo per fasce di età? Per Giuffrè sì, nel momento in cui - se è vero che l'obbligo deve essere "ragionevole" - la ragionevolezza della previsione che si riferisce solo agli "over 50" «si ritrova nella circostanza, attestata dagli studi e dalla casistica epidemiologica, secondo cui più si va avanti con l'età e più è elevato il rischio di contrarre la malattia in forma grave e persino letale». È chiaro che ci sarà, pensiamo ai no vax più irriducibili, chi rifiuterà l'obbligo. Il punto è se basteranno le multe (da 600 a 1.500 euro per gli over 50 che si presenteranno al lavoro senza Super Green pass), dato che la strada della coercizione è realisticamente impraticabile.

 

 

«In uno Stato democratico si tenta di arrivare alla coercizione fisica solo come ultima risorsa», conferma il costituzionalista. «Di solito si preferisce una "coazione" indiretta come una sanzione». Un deterrente efficace secondo il giurista che cita come esempi l'Austria e la Germania dove «ha contribuito a ridurre ulteriormente il numero di coloro che rifiutano il vaccino». In un Paese litigioso come l'Italia, prevedono i critici, saranno migliaia i ricorsi in Tribunale. «Non credo proprio», assicura Giuffrè. «Ormai si è consolidato - nella giustizia amministrativa, ma anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale - un orientamento che rende assai remota la possibilità, per chi volesse sottrarsi alla vaccinazione, di spuntarla in Tribunale».

 

 

Stesso concetto per il super green pass nei posti di lavoro per gli over 50: misura perla quale, dal fronte sindacale, c'è chi parla di provvedimento discriminatorio. «In termini giuridici - questa la replica dell'esperto - non si può parlare di discriminazione ove il trattamento differenziato a carico di particolari soggetti sia giustificato dalle particolari condizioni (il maggior rischio legato all'età, per esempio) poste a fondamento della previsione legislativa». Alla luce di tutto questo, come inquadrare chi non dovesse accettare l'introduzione per legge della vaccinazione? «Il rifiuto di vaccinarsi», questa la chiosa, «e di accettare il rischio minimo insito in ogni trattamento sanitario mi sembra espressione di una ipertrofia dell'Io difficilmente compatibile con il senso di appartenenza ad una comunità politica».

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