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Reddito di cittadinanza? Fabbrica di precari (nel migliore dei casi): le cifre che sotterrano il M5s

Attilio Barbieri
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Finalmente è arrivata la tanto attesa nota redatta dall'Anpal, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, sulla condizione occupazionale di quanti beneficiano, a vario titolo, del reddito di cittadinanza. Il rapporto, firmato dal commissario straordinario Raffaele Tangorra, svela una dimensione largamente inattesa. Le persone che hanno beneficiato del sussidio e che sono state indirizzate ai servizi per il lavoro sono oltre un milione 800mila. Al 30 settembre 2021 erano più di un milione e mezzo i rapporti di lavoro attivati, dei quali 1,2 milioni nuovi. A dimostrazione che qualcosa si è mosso, anche se questo qualcosa è sfuggito all'ex presidente dell'Anpal, Domenico Parisi che per tutta la durata del proprio mandato, dal febbraio 2019 al maggio 2021, non è mai stato in grado di dire quanti beneficiari avessero trovato un posto nel periodo di godimento della misura.

 

 

SOLO UNO SU 7 È STABILE
Ma le buone notizie finiscono qui. Sul milione e 214mila rapporti di lavoro avviati ex novo - lo certifica l'Anpal nel rapporto diffuso ieri - appena 175.779 sono a tempo indeterminato o in apprendistato. Precisamente il 14,5% sul totale. Tutti gli altri si possono considerare precari. Ben 771.780, il 63,6%, sono a tempo determinato, altri 150.419 (12,4%) in somministrazione e oltre 34mila, pari al 2,8% sul totale, addirittura collaborazioni e lavori autonomi. Avanzano poi 82.201 posizioni classificate come «altri contratti» e comprendenti presumibilmente attività a chiamata. Ma dietro ai numeri grezzi si nasconde una realtà ancora più problematica. Come spiega la stessa Anpal nel commento dei dati: «Quel che qui pare opportuno richiamare è che l'ingresso in misura (nel reddito di cittadinanza, ndr) non sembra aver portato i beneficiari ad abbandonare la ricerca di un lavoro e, soprattutto, non sembra ne abbia innalzato il relativo salario di riserva a tal punto da portarli a rifiutare occupazioni a termine anche se di breve o brevissima durata. Ne è una prova- scrivono gli analisti dell'Anpal - la distribuzione dei rapporti a tempo determinato avviati per durata. Anche in questo caso, i dati non si discostano considerevolmente dal complesso dei flussi delle comunicazioni obbligatorie dell'intera popolazione italiana e presentano una forte concentrazione nelle classi di durata più breve: la quota di contratti a tempo determinato di durata non superiore ai 3 mesi sfiora il 69%, e, in particolare, più di un terzo non supera il mese». Dunque oltre il 30% dei beneficiari ha avuto un posto per appena 30 giorni.

 

 

MOLTO BREVI
Un trend che induce i curatori del rapporto a mettere le mani avanti rispetto ai facili entusiasmi, che pure ci sono stati, viste le dichiarazioni trionfalistiche giunte dal Movimento 5 Stelle. «Nella maggior parte dei casi», si legge nel documento, «i nuovi rapporti di lavoro istaurati si caratterizzano per un elevato livello di precarietà, associato a periodi di occupazione brevi o molto brevi. Ne deriva, per i beneficiari, una debole capacità di permanenza nell'occupazione, accompagnata da un'evidente altrettanto marcata difficoltà di uscita dalla condizione di povertà che ne ha determinato l'ingresso nella misura». Al punto che lo stesso commissario Tangorra mette in guardia dal rischio di «creare trappole» della povertà: occorre «disegnare bene il beneficio», spiega, «per evitare che chi entra ci rimanga vita natural durante». E fa riflettere l'analisi delle competenze richieste per l'insieme del milione e 200mila posti censiti dal rapporto. Nel 92% dei casi le competenze sono basse o medio basse. Caratteristica che spiega in buona parte la breve durata dei contratti. I beneficiari al reddito di cittadinanza gestiti dai Centri pubblici per l'impiego risultati occupabili abitano poi nelle regioni del Nord e del Centro e sono prevalentemente uomini, con una età compresa tra i 30 e i 50 anni.

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