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Gregorio Magno, la lezione dell'ex Pontefice a Papa Francesco: intrighi in Vaticano, ciò che pochi sanno

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Renato Farina
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Sono molto pochi, nella storia dell'Occidente, coloro ai quali è assegnato il titolo di «Magno», il Grande. Che non è un aggettivo, un'aggiunta al nome proprio, e neppure una corona infilata in testa democraticamente o con l'applausometro, ma il prendere atto universale di qualcosa che appartiene all'essenza stessa di un gigante: una potenza spirituale capace di scardinare i binari del destino. La magnanimità che è più del potere e diventa il nome autentico ad esempio di Alessandro il Macedone, e si capisce. Ha conquistato a neanche trent' anni il mondo. Poi si va a papa Leone, il quale salvò Roma, fermando con la sua testimonianza inerme Attila, in corsa sicura per sbranare l'impero. Poi alcuni secoli dopo, ecco Carlo Magno, forgiatore del Sacro Romano impero, e tante altre cose immense. Questa gente ha spostato il fiume del tempo, ha inciso nella geopolitica dei millenni.

TEMPESTE E SIMILITUDINI

Ce n'è un altro che sta tra Leone e Carlo. Si chiama Gregorio Magno (540-604), papa e santo. Diciamolo: è uno sconosciuto. Non ha piegato orde barbariche, né eretto regni imperituri. Eppure, è il genio cui dobbiamo la salvezza di quel pulviscolo di luce, che si chiama anima in un'Europa immersa nell'oscurità tetra del sesto secolo dopo Cristo. Il concetto e l'esperienza di bellezza, di desiderio, di pace, di infinito erano nascosti sotto la caligine. Gregorio ha tentato di dare un volto all'enigma che è l'uomo, che non è destinato al nulla, e ha provato ad aiutare i suoi contemporanei a vivere sulla terra. Ai quali subito dopo la sua morte fu impossibile non riconoscerlo non solo santo, ce n'è tanti, ma «Magno». Nessuno è stato pastore e guida di anime - ma le anime sono carnali, sono donne e uomini- come lui. A scriverlo è Massimo Camisasca, vescovo e scrittore di tersa profondità, nella prefazione al volume di Gianluca Attanasio, sacerdote come lui, Una strada nella tempesta. Attualità dell'esperienza di Gregorio Magno (Cantagalli, pagine 208, euro 18, e-book 9,99). Don Attanasio non sceglie per casola figura di Gregorio. È fin troppo facile scorgere similitudini - tecnologia a parte - tra quegli anni e i nostri. Turbolenze? È un eufemismo. Il corpo dell'Italia, così come quello dell'Impero, ridotto a una facciata i cui territori sono travolti dalla barbarie. E la Chiesa non sta affatto meglio. Gregorio, nato in una famiglia nobile e di fede cristiana, ha appena due anni quando l'intero mondo è travolto da una pestilenza, vera pandemia. In Italia la pandemia spazza via un terzo della popolazione; Costantinopoli perde trecentomila vite nel giro di due anni (dal 542 al 544). Un sentimento di paura e di precarietà attraversa i popoli, manca una qualsiasi leadership mondiale. Non è forse quello che stiamo sperimentando noi in questi ultimi anni? Gregorio è uno degli uomini più ricchi e stimati del suo tempo. Seguendo le orme del padre intraprende la carriera amministrativa e diviene prefetto di Roma a 32 anni. Presto però abbandona la scena pubblica, trasforma le sue proprietà in monasteri e si dedica alla vita monastica. Sembra una fuga questa sua scelta totalitaria di vita contemplativa dedicata allo studio, alla preghiera e alla carità, lontano dalle distrazioni e dalle preoccupazioni che inevitabilmente una vita pubblica porta con sé. Invece di difendere i beni suoi e della città, con le unghie e con denti, come imporrebbe il senso comune e lo spirito devastato di quei tempi, Gregorio dà inizio a una comunità monastica con un gruppo di amici. Senza conoscere e sperimentare il Dio-tra-noi, il Cristo incarnato, vincerà il Nulla della peste virale e spirituale. Senza qualcuno che indichi la strada (il metodo) per essere uomini, costituiti dal desiderio di infinito, tutto è perduto. Come farà Francesco d'Assisi, mezzo millennio dopo. La salvezza non viene dalla politica. Certo che è necessaria. Occorre altro: la conoscenza di Dio ma non nella testa, nelle idee, ma istante per istante, qui e ora farne esperienza.

 

 

 

VITA PUBBLICA E MONASTICA

È in questa precisa convinzione e nell'esperienza fatta negli anni divita comunitaria nel monastero di Sant' Andrea che si colloca, ci dice Attanasio: «Il germe di quanto egli, da Papa, propone a tutta la Chiesa». Ma Gregorio - a differenza di quel che accadrà al Poverello - non può sfuggire alla vita pubblica troppo a lungo. Papa Pelagio II prima gli chiede di accettare l'ordinazione diaconale affinché si rechi a Costantinopoli a combattere l'eresia monofisita e a intercedere presso l'Imperatore per richiedere aiuto contro la minaccia longobarda. Poi, richiamato a Roma il Papa lo nomina suo segretario e in seguito alla morte dello stesso Pelagio - anch' egli vittima della peste - viene, suo malgrado (tenterà anche la fuga) eletto Papa. Inizia il dramma che segnerà tutta la vita di Gregorio ovvero la tensione tra vita monastica (vita contemplativa), dedicata alla conoscenza di Dio, e vita pubblica (vita activa) in cui è chiamato ad esercitare le sue doti di governo segnerà tutta la sua vita. Nonostante Gregorio senta continuamente la nostalgia per la vita monastica e fosse spaventato del degrado in cui versavano il mondo e la Chiesa, nonostante fosse costretto a letto durante gli anni del suo pontificato in preda a invalidanti dolori fisici, egli inizia una vera e propria opera di ricostruzione al cui centro vi è la cura animarum. Gregorio intuisce che in tempi così bui, dilaniati da guerre, pestilenze e carestie, è necessario ripartire da lì. D'altronde che cos'è la cura delle anime se non un comunicare attraverso la testimonianza e l'insegnamento la speranza che sostiene la vita? In questo senso Gregorio inizia Regula Pastoralis definendo l'educazione come «l'arte delle arti» avendo l'educatore l'arduo compito di trasmettere tale speranza al prossimo rispettando la sua diversità e irriducibilità indicandogli una rotta nel mezzo della tempesta. Come allora, quindici secoli dopo, siamo qui, con i medesimi drammi. Come allora, il pensiero della morte, della caducità della vita, attanaglia vecchi e giovani, in preda all'incertezza del futuro. Questa paura porta gli uomini a chiudersi in sé stessi, a vivere come isole e a concentrarsi sulla propria sopravvivenza piuttosto che sulla cura della propria anima.

 

 

 

PROVARE PER CREDERE

Don Gianluca Attanasio condividendo con noi il suo incontro con il grande maestro San Gregorio Magno ci propone una strada, un percorso in mezzo a questa confusione. Ci presenta un uomo che guidato dal suo amore a Cristo non ha mai smesso di comunicarlo affrontando la durezza delle prove del mondo e della storia. Gregorio, con la penna di Attanasio, dà speranza. Non chiacchiere di spiritualità ma indica l'eterno che entra nel tempo, solido, delicato. Qualsiasi sia il nostro specifico mestiere di vivere - genitore, uomo di governo, operaio, figlio, infermiere, pensionato - si tratta non di erculeamente imporre il nostro progetto, ma di riconoscerlo come un dato, un dono. Che ci richiede la virtù dell'umiltà e della carità. Provare per credere? O credere per provare? Tutt' e due. A questo proposito, se uno vuole bere un altro sorso dell'essenza del cristianesimo, può accostare Accendete l'eternità senza spegnere la vita (Cantagalli, 146 pagine, 15 euro) di monsignor Massimo Camisasca. Il titolo è tutto. La prosa desta meraviglia ad ogni pagina, si sente la voce di un Altro. Sono omelie di un grande vescovo di oggi ai preti novelli e a quelli vecchi, dove si «apre uno squarcio su uno dei misteri più grandi e affascinanti della vita cristiana». 

 

 

 

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