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Francesco Vaia, l'intervista: "Tutta la verità sul vaccino". L'intervista che ha fatto impazzire i no-vax

Pietro Senaldi
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“Non sono per la drammatizzazione, era tutto prevedibile. Qui c’è chi piange troppo e predica troppe disgrazie. Sul Covid non si è combattuta solo una battaglia sanitaria, geopolitica ed industriale, ma anche una guerra professionale dove c’era chi la sparava più grande per raggiungere le prime pagine dei giornali”. E se lo dice lui, che domani verrà premiato come miglior comunicatore scientifico, c’è da crederci. Francesco Vaia, direttore dello Spallanzani, l’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive, è l’uomo che ha contribuito a portare in Italia la cura dei vaccini monoclonali, “che al momento è la più efficace, se si interviene all’inizio della malattia, prima che l’infezione scenda ai polmoni”, spiega il professore: “un’ora di infusione in ospedale, un’ora di osservazione e poi si può andare a casa”.

Vaia dosa con oculatezza i propri interventi sui giornali e in televisione. Soprattutto non si presta ad animare i talk show. “E’ giusto che i medici vadano in tv a spiegare, perché quando uno ha paura di ammalarsi vuole sentire il parere di un tecnico, non di un politico” ragiona il luminare, “però i dibattiti televisivi danno un’idea sbagliata della scienza, che non può essere ridotta al giusto o sbagliato, perché è una materia in evoluzione, che procede anche  per errori, tentativi, confronti e riconsiderazioni. Certe risse televisive la banalizzano, le fanno perdere sacralità e finiscono per dare una mano agli scettici e ai no vax, anziché a chi combatte il virus”.

Pessima comunicazione quindi, professore?
“Pessima sì, basta pensare al balletto su Astrazeneca, innescato anche dai tentennamenti e dalla scarsa chiarezza di quel tempo. Quegli errori di comunicazione  hanno  generato i dubbi di molti che oggi esitano, che  sono legittimamente preoccupati e disorientati".

Altrimenti non ci sarebbero mai stati i no vax?
“Ci sarebbero stati comunque, considerato che ci sono ancora i terrapiattisti, coloro che non credono ai cambiamenti climatici,  ma mi lasci dire che ci concentriamo troppo sui no vax, che sono una minoranza. Bisognerebbe piuttosto spingere a tavoletta sulla terza dose, nelle fasce di popolazione fragili, negli over 80, nei sanitari, in coloro che hanno rapporti con il pubblico, e convincere soprattutto chi non ha completato il ciclo vaccinale, ancora troppi. In Italia si è immunizzato l’85% delle persone: è più facile convincere loro a sottoporsi a una terza iniezione o seconda, piuttosto che far vaccinare uno che fino a ora non lo ha ancora fatto, salvo che non pensiamo ad azioni coraggiose di obbligo per fasce di popolazione. Ma quest’azione dovrà necessariamente essere accompagnata ad altre che riconquistino la fiducia del cittadino nello strumento vaccino che in questi ultimi giorni sento vacillare”.

Perché, appunto, la campagna per la terza dose non è ancora decollata?
“Dobbiamo dare la certezza all’opinione pubblica che chi si vaccina non fa una cortesia a nessuno se non a se stesso e ai propri parenti e amici. Noi ci amiamo ed amiamo i nostri cari, questo il senso vero. Dobbiamo spiegare bere che la profilassi sta portando risultati importanti e che non si fa la terza dose per svuotare i magazzini o far guadagnare le case farmaceutiche ma perché salva la vita”.

Non è quello che il governo sta facendo?
“Il governo, meglio dire alcuni in particolare,  da un lato si mostrano preoccupati più di quanto la situazione non necessiti, ma lo capisco: è una linea di prudenza. Dall’altro però si sbaglia a descrivere il vaccino come una pozione magica, che ti trasforma in Superman o Superwoman, perché poi quando un vaccinato si ammala - e capita - tutta la narrazione crolla e i no vax se la ridono, anzi diamo loro tanta legna da ardere. E, se mi consente, argomenti per dibattiti a volte surreali".

Hanno ragione quindi gli scettici a dire che le prime due non bastano?
“Sono servite assolutamente ed in maniera incontrovertibile a proteggere la popolazione fino ad ora, ma hanno, ahimè,  un’efficacia calante, che dopo sei-otto mesi scende di parecchio e lo fa più velocemente tanto più una persona è anziana o fragile comunque per patologie concomitanti. Ricordiamoci comunque che Se da maggio l’Italia può considerarsi tra i Paesi che meglio contrastano il virus è perché la campagna vaccinale è stata un successo, come riconosciuto in tutto il mondo”.

L’attuale risalita dei casi quindi è dovuta alla perdita d’efficacia del vaccino in chi vi si è sottoposto a gennaio-febbraio?
“Sì, ma anche alla stagionalità: questa è una malattia prevalentemente respiratoria, che pertanto esplode in autunno e inverno, quando si vive maggiormente al chiuso e si è a contatto più ristretto con gli altri, e le temperature più rigide predispongono di più.. E poi forse vi è stato un legittimo calo di tensione, dopo un anno in lockdown, succeduto a mesi nei quali le cose sono andate molto bene. C’è forse troppa rilassatezza ed omettiamo comportamenti che sono necessari ad evitare la trasmissione del contagio, come indossare la mascherina, lavarsi le mani e mantenere il distanziamento, ma anche nell’affrontare la terza dose: occorrono ancora  più attenzione e maggiore premura. Il nemico è alle corde ma dobbiamo ancora abbatterlo definitivamente. Lo faremo ma mai sottovalutarlo, soprattutto ora”.

Quindi, anche se lei è di natura ottimista, non ritiene che siamo ancora fuori dal tunnel?
“Chi parla di situazione allarmante e di un Natale come l’anno scorso fa dell’allarmismo gratuito e grave. Siamo a cinquemila/seimila casi e la crescita avanza con una esponenzialitá assolutamente ben più bassa rispetto all’autunno 2020, siamo distanti anni luce da quei numeri , sia i termini di contagio che soprattutto , di ricoveri e morti. Tutto è più sotto controllo. Però vi sono due azioni da compiere assolutamente perché la situazione migliori ulteriormente e spero definitivamente”.

Prego, professore…
“La prima è l’ampliamento dell’obbligo vaccinale a tutte le categorie di lavoratori che hanno rapporti con il pubblico. Non solo medici, professori e chi lavora nella ristorazione, ma anche, ad esempio, chi lavora nella grande e piccola  distribuzione, nei mercati , voi giornalisti, chi guida gli autobus o fa politica”.

E la seconda proposta?
“Torniamo al discorso iniziale, quello sulla comunicazione. Viviamo un paradosso: la gente vuole capire ma si spiega  poco, facendo così il gioco dei no vax, perché dove c’è cattiva comunicazione nascono prima la confusione e poi i sospetti; infine le teorie del complotto. Stiamo buttando via il bambino con l’acqua sporca, dando la sensazione che chi impone il Green pass non lo fa per favorire la vaccinazione e quindi mettere in sicurezza il Paese bensì per rincorrere interessi politici e industriali”.

Cosa dovrebbe fare allora il governo?
“Il governo dovrebbe impegnarsi per fare una fortissima operazione di persuasione verso le case farmaceutiche perché aggiornino i vaccini e li strutturino sulle nuove varianti. Dobbiamo rimodulare i vaccini e dirlo, basta dare la sensazione che vacciniamo per smaltire le scorte. Lo so che non è così ma spesso si avverte  questa sgradevole sensazione.  E’ inutile rincorrere un’immunità di gregge che non ci sarà mai, in una ricerca ossessiva della performance numerica. Non conta quanti cittadini sono stati inoculati ma quanti sono realmente protetti. Dire che il 90% delle persone è vaccinato non significa nulla oggi , è come mischiare pere con mele: vaccinato con che cosa, quando, quante volte?”.

Intanto cosa deve fare la gente, aspettare i nuovi vaccini?
“No, assolutamente. Quando arriverà il nostro turno, in base all’età, alla fragilità e al lavoro che facciamo, ci proteggiamo con la terza dose, che è opportuno fare, perché è una protezione importantissima, soprattutto per gli immunodepressi, i fragili, e un richiamo per gli altri che hanno avuto inoculata la seconda dose da più di sei mesi e quindi con un calo,  ormai accertato, della efficacia”.

E poi quindi ce ne dovremo fare una quarta, una quinta e così via?
“Il Covid resterà a lungo tra noi. Ormai è già una malattia endemica. E’ sbagliato a livello di comunicazione parlare di terza o quarta dose. Come ho più volte detto, non dobbiamo arrivare a cappuccino, cornetto e vaccino. Guai a dare questa sensazione! Meglio dire che ogni anno, soprattutto chi appartiene a categorie fragili o esposte, dovrà fare un richiamo con un vaccino un po’ diverso da quello precedente, esattamente come gli anziani che ogni autunno offrono il braccio a un’iniezione anti-influenzale. Vi sono ormai consolidati studi che dimostrano chiaramente come questa malattia sarà stagionale con richiami annuali fini a quando, come accaduto con altri, non scomparirà del tutto.”

Per ora si parla di terza dose, o meglio richiamo, ai sessantenni: ai cinquantenni come me che sorte aspetta?
“A gennaio-febbraio sarà chiamato a rivaccinarsi. Speriamo che per allora siano già pronti vaccini rieditati e  più performanti. In ogni caso, le conviene fare l’iniezione”.

L’ultima adesso è vaccinare i bambini a fine anno: cosa ne pensa?
“I bambini hanno una vita sociale meno intensa degli adulti, frequentano poco o affatto i mezzi pubblici, stanno per lo più in ambienti protetti dove tutti sono vaccinati, come le scuole. Si dice che i piccoli si contagiano e contagiano anche gli altri ma analizzando i dati non si può dire che al momento la loro incidenza sul propagarsi del virus sia forte”.

E’ vero che con il vaccino rischiano le miocarditi?
“In rari casi, ma la miocardite a un bambino può venire anche a seguito di un long-Covid. Il punto è sempre il calcolo tra rischi e benefici. Qualsiasi farmaco può dare effetti collaterali, la strategia corretta è evitare il rischio quando, anche se basso, non è indispensabile. Se un bambino ha già di suo delle altre patologie gravi, conviene vaccinarlo, per proteggerlo da un virus che, associato ad altre malattie, può rivelarsi grave. Se invece è sano, non vedo necessità di vaccinarlo. Almeno data la situazione odierna, poi le cose possono sempre cambiare”.

Insomma, è contrario a chi fa la puntura ai bimbi per proteggere gli anziani?
“Pretendere la solidarietà sociale da chi ha meno di dodici anni rasenta l’ideologia e il fanatismo. Il vaccino non va fatto ai bambini per impedirgli di contagiare gli adulti, ma solo se sono fragili di loro”.

E’ favorevole all’obbligo vaccinale almeno per gli adulti?
“Le ho già risposto: estendiamolo a tutte le categorie che hanno contatti con il pubblico. Ma l’obbligo indiscriminato sarebbe ideologico, perché non così funzionale”.

Le terapie intensive sono semivuote grazie al vaccino o al fatto che oggi sappiamo curare meglio i malati, evitando che il virus degeneri?
“Un combinato disposto. Certo sulle cure oggi siamo molto avanti. I monoclonali, se utilizzati per tempo, risolvono il problema in altissima percentuale, più del 95 per cento. Poi adesso stanno arrivando quelli di seconda generazione,  ideati dal professor Rappuoli a Siena, e che stiamo sperimentando anche noi allo Spallanzani e che saranno prodotti in Italia, qui nel Lazio: stiamo valutando di usarli anche in funzione preventiva su chi non ha risposto al vaccino e risulta poco protetto in base agli esami anticorpali”.

Il protocollo del governo, vigile attesa e tachipirina ormai sembra preistoria: perché è ancora in vigore?
“È stato integrato, mi sembra che adesso preveda anche i monoclonali da somministrare in ambulatorio”.

Sì, ma negli ospedali i medici usano antinfiammatori e cortisone: ogni luminare fa per sé?
“Questo forse era vero qualche mese fa. Oggi gli studi clinici sono più chiari, abbiamo tutti più esperienza e mi sembra che non ci sia più anarchia terapeutica”.

Il Comitato Tecnico Scientifico, cioè i medici del governo, è però più indietro rispetto agli ospedali…
“Non faccio polemiche, anche perché è sempre molto difficile mettersi al posto degli altri. Credo sia normale che medici e ospedali siano più avanti rispetto a chi ha un ruolo non attivo, a volte burocratico. La burocrazia è sempre dannosa, in questi frangenti poi andrebbe bandita, perché può rischiare di essere perfino letale”.

Anche il Green pass è burocrazia?
“Il Green pass non è uno strumento scientifico ma solo un attestato che sei vaccinato e quindi sei meno contagioso rispetto a chi non lo è: si fanno troppe polemiche intorno al Green pass, bisogna solo spiegare che non è un obbligo ma una regola opportuna per frequentare certi posti”.

La fa semplice, professore: chi non ce l’ha non può fare nulla…
“Chi non è vaccinato sta mettendo a repentaglio la propria vita. E’ un suo diritto, ma non gli si può dare anche il diritto di mettere a rischio quella altrui. L’errore è stato trasformare il passaporto sanitario in una questione politica, e non è stato solo un errore dei no vax…”.

Solidarizza con loro?
“Mai. Tra l’altro lei sa che sono stato oggetto di varie attenzioni da parte loro, non molto affettuose. Però stiamo dando troppa importanza a una minoranza che è solo rumorosa. Mi preoccupa di più chi ha paura e non chi è ideologicamente contrario al vaccino. Ai primi possiamo e dobbiamo sforzarci di arrivare, gli altri, coloro che sono ideologicamente predeterminati saranno sconfitti dal risultato che sarà la vittoria sul virus. Come spesso accade, stiamo lavorando anche per loro.”

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