Reddito di cittadinanza, la truffa estrema: "Buttati 9 miliardi, quanti sono i falsi poveri"
Il reddito di cittadinanza è un disastro. Comunque lo si analizzi non ha funzionato. Non è servito come strumento per collocare i disoccupati, visto che su alcuni milioni di beneficiari le persone prese a balia (si fa per dire) e collocate dai navigator sono state in tutto meno di mille. Ma non sono le politiche attive l'aspetto più preoccupante della misura. Il vero disastro è nel cuore del sistema che governa il reddito di cittadinanza. Come ha spiegato ieri Maurizio Del Conte, economista, ex numero uno dell'Anpal, l'Agenzia nazionale per le politiche attive, ora presidente dell'Afol Metropolitana di Milano, quasi un terzo dei beneficiari del sussidio non sono poveri, mentre c'è un altro 30% della platea che, pur avendo diritto al sussidio, non lo percepisce. E oltre 4 nuclei familiari su 10 che lo incassano sono composti da una persona sola. In pratica il 44,6% dei percettori sono single.
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CRITERI SBAGLIATI
«Sulla base dell'esperienza fatta, i criteri per l'accesso al reddito di cittadinanza vanno ridisegnati», spiega Del Conte, «perché si è visto che c'è, da un lato, una quota di persone, pari a circa un 30% della platea, che ne benefica senza essere in reale povertà e, dall'altro, c'è una quota più o meno della stessa dimensione, ossia il 30%, che non ne beneficia, pur essendo in reale povertà». Fra l'altro la stragrande maggioranza degli incapienti tagliati fuori dalla misura vivono nel nord Italia, dove il costo della vita è più alto che nel resto del Paese. Una situazione, aggiunge l'ex numero uno dell'Anpal dimissionato da Di Maio per sostituirlo con il presunto guru del Mississippi, Domenico Parisi, «in larga parte dovuta al meccanismo della norma che premia di più le famiglie mononucleari, i single, rispetto ai nuclei familiari numerosi. E poi c'è il tema del costo della vita», aggiunge Del Conte, «aver fissato un'unica soglia di accesso valida per tutto il Paese, è una cosa assurda, che non ha riscontro nella realtà. Una persona che vive in una grande città, deve sostenere molti più costi di una che ad esempio vive in un'area interna». Questi difetti all'origine, hanno creato «i professionisti del reddito di cittadinanza», come li definisce il presidente dell'Afol, «che riescono a ottenere il sussidio eludendo la disciplina».
E per quanto i controlli si siano moltiplicati, è sempre molto basso il numero delle persone che vengono pizzicate a incassare indebitamente il sussidio. Da gennaio a settembre di quest' anno, su oltre un milione e mezzo di famiglie beneficiarie, sono soltanto 90mila quelle a cui è stata revocata la misura perché non avevano i requisiti per accedervi. E «poi c'è l'errore progettuale di aver pensato che la struttura attuale dei servizi all'impiego fosse servente al reddito di cittadinanza, invece andava ribaltata la prospettiva», conclude Del Conte, «in Italia occorre un sistema universale di politiche attive, dopodiché solo una quota di minoranza dei percettori di reddito sono pronti per entrare in una struttura di avviamento al lavoro. La maggioranza dei percettori, circa due terzi, non vanno nei centri per l'impiego, ma vanno ai servizi sociali. È una platea completamente diversa: per questo ci vuole uno strumento di contrasto alla povertà che si occupi prima delle persone».
Proprio ieri, dalla cabina di regia che sta lavorando alla Finanziaria, è arrivata la conferma che nella legge di bilancio dovrebbe esserci una stretta sui meccanismi di erogazione del sussidio grillino con un inasprimento dei controlli preventivi per ottenerlo e un taglio all'assegno per quanti rifiutino due proposte di lavoro. Il decalage del sussidio dovrebbe essere progressivo, dal secondo rifiuto in poi, ma restano ancora da definire le percentuali della sforbiciata prevista. Pare definitivamente tramontata l'ipotesi di revoca dopo il primo «no», mentre oggi il diritto all'assegno decade dopo il terzo diniego. Il capodelegazione M5S alla cabina di regia, Stefano Patuanelli, avrebbe annunciato che il Movimento si riserva di «valutare l'equilibrio complessivo» delle modifiche apportate. Dunque nessun via libera incondizionato al restyling proposto dal ministro dell'Economia Daniele Franco. «Lo schema è da approfondire e rivedere», ha concluso Patuanelli. C'è il «sì» ma con riserva.