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Annalisa Cuzzocrea intoccabile, ma la giornalista di Libero si può insultare: vergogna a sinistra

Gianluca Veneziani
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È abbastanza singolare accusare un giornale di fare squadrismo mediatico, mentre si esercita nei suoi confronti una forma di squadrismo social. Ma è un cortocircuito cui siamo abituati noi di Libero, ieri travolti su Twitter da una valanga di insulti per aver fatto niente più che una constatazione: ossia per aver rilevato che la cronista di Repubblica Annalisa Cuzzocrea, che aveva raccontato di una Meloni «vestita di nero» (alludendo a nostro, ma non solo nostro, avviso al fatto che per questa ragione ella volesse omaggiare le camicie nere), a sua volta è solita vestire di nero. La Cuzzocrea si era difesa avvertendo che il suo era un racconto dei fatti, senza «niente sotto» (un racconto comunque falso, figlio di una svista, di daltonismo ideologico o «mistificato» per dirla con la Meloni, dato che la leader di Fdi era vestita di blu).

 

 

Detto questo, non si capisce perché la collega di Repubblica possa constatare che la Meloni è vestita di nero, mentre noi non possiamo annotare che la Cuzzocrea, a sua volta, spesso veste dello stesso colore. Con il sottinteso banale che in entrambi i casi non c'è niente di male e tantomeno di politico. Eppure aver scritto questo pezzo "di colore", è il caso di dire, ci ha attirato addosso una quantità inenarrabile di melma. E la ha attirata soprattutto addosso alla brava collega Brunella Bolloli (si chiama Brunella non perché ami le camicie brune, lo diciamo a beneficio della Cuzzocrea) che aveva osato scrivere il pezzo. Ad attaccarla è stata in primis un'altra giornalista, Flavia Fratello di La7, con tanto di tweet sprezzante «Ma veramente fate? Libero, prima pagina» e sotto il corpo del reato, ossia il titolo del pezzo: "La cronista rossa veste in nero ma guai se lo fa la Meloni...". E poi, a rincarare la dose, ci ha pensato un'altra collega, Tonia Mastrobuoni di Repubblica, con un tweet ancora più pesante: «Il momento in cui ti viene da vomitare al pensiero di appartenere alla stessa categoria di questi qua. Che vergogna, Libero». Fatti che scatenavano un non irrilevante odio social anti-Libero e anti-Bolloli.

IMPROPRERI
Il tutto potrebbe apparire una bega tra cronisti di idee politiche diverse. E invece la vicenda tira in ballo questioni sostanziali come la difesa del diritto dei giornalisti, di destra o sinistra, di fare opinione, e la necessità di schierarsi con quanti di loro vengano travolti da offese o minacce per il semplice fatto di svolgere il proprio mestiere. E questo vale da ambo i lati. Perché è certo intollerabile che la Cuzzocrea, per il suo svarione Sopra, l'articolo di Brunella Bolloli su Annalisa Cuzzocrea sulla prima pagina di Libero di ieri. A sinistra, alcuni degli attacchi sui social cromatico e la sua velata allusione ideologica, sia stata ricoperta di improperi e minacce di morte, così come è giusto che ella abbia ricevuto la solidarietà di colleghi e politici; e questo dovrebbe saperlo chi ha letto bene il pezzo della Bolloli, la quale aveva evidenziato che contro la Cuzzocrea si era «scatenata la peggiore shitstorm dei leoni da tastiera», condannando questa deriva come «una pagina nera».

 

 

Però non si capisce perché lo stesso criterio non valga per la Bolloli: cos'è, insultare una giornalista non di sinistra non è reato? Risultavano perciò inaccettabili, sia per le accuse in sé che per il silenzio a riguardo della categoria giornalistica e della politica, le frasi bercianti scritte (spesso da donne) su Twitter contro la nostra collega. Si andava dall'epiteto di «giornalista profondamente imbecille» (spiace deludere l'odiatrice, ma la Bolloli è sì profondamente, ma intelligente), all'accusa di essere una «giornalista che scrive immondizia», fino all'invito a «vergognarsi di ridurre la sua professione a pettegolezzo» e all'appello a ritirarle il tesserino e non farla più lavorare: «Ma l'Ordine dei giornalisti cosa fa?», si domandava un odiatore. «Veramente il tesserino può averlo chiunque?». Insieme fioccavano gli strali contro tutti i giornalisti di Libero, definiti «combriccola di autentici imbecilli», gente «da ricovero», che «scrive intingendo la penna in quella sostanza marrone chiamata cacca»; che alimenta il fascismo facendo «squadrismo giornalistico» e «creando bersagli per la violenza squadrista». E pertanto andrebbero costretti al silenzio, estromessi dal dibattito, "sciolti" manco fossero un'organizzazione sovversiva: «Si smetta di usare l'alibi del pluralismo per portare ogni giorno in tv cronisti e direttori di Libero», «Chiudano il giornale, è una cloaca», «Occorre fare un po' di pulizia nella stampa italiana» erano i messaggi più tolleranti.

 

 

IL DIBATTITO
Eh già, quando si tratta di colpire un giornale e una giornalista non di sinistra, non valgono più i rischi di soppressione della democrazia, di sessismo, di attacco alla libera stampa. Vale l'attacco libero a Libero... Per reazione, propongo oggi ai colleghi, a cominciare dalla stimata Brunella, di vestirci tutti di nero. Non per scimmiottare la Cuzzocrea o evocare inesistenti nostalgie fasciste (semmai Il diavolo veste Pravda...). Ma come segno di lutto per la morte del libero dibattito in questo Paese.

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