No Green pass, Giuliano Castellino inguaia Luciana Lamorgese: perché nessuno lo ha controllato?
Mentre si almanacca sui veri o presunti "mandanti morali" delle violenze squadriste che hanno infestato le manifestazioni No Pass di sabato, non sarebbe il caso di gettare anche uno sguardo sul "lasciapassare materiale" di tale barbarie? Bisogna cercarlo al Viminale questo lasciapassare, perché un ministro dell'Interno nella piena facoltà delle proprie funzioni non può e non deve consentire che alcuni ben noti facinorosi giungano a insidiare i Palazzi apicali delle istituzioni italiane o addirittura a vandalizzare la sede della Cgil. Luciana Lamorgese, che ha lasciato sul campo oltre quaranta uomini in divisa feriti, stavolta non può cavarsela scaricando le responsabilità su prefetti e questori, deve piuttosto spiegare quali sono state le falle nel contenimento della canea scalmanata e soprattutto perché gli agenti della forza pubblica non sono stati capaci d'interdire sul nascere i disordini.
Gli assalti dei "no Green pass" e quelle stanche simbologie antifasciste della sinistra
QUESTIONE CENTRALE
Chiunque conosca il funzionamento degli apparati dello Stato sa che la deterrenza è uno strumento non meno importante della repressione - che pure l'altroieri non è mancata, almeno in certi frangenti - e che il suo utilizzo è richiesto appunto ogni qualvolta ci si trovi alla vigilia di appuntamenti delicati riguardanti obiettivi sensibili di prima grandezza. Se il problema era Giuliano Castellino, assieme al branco forzanovista, la domanda sorge immediata: per quale ragione costui, peraltro oggetto di un cervellotico Daspo sportivo motivato da precedenti violenze stradaiole collegate all'ala estrema dei No Vax, è stato arrestato all'indomani dei tafferugli e non invece "isolato" per tempo, prima che si scatenassero i disordini? Non è una questione secondaria, perché è proprio sulla lungimiranza del Viminale che si misura la qualità di uno Stato nel presidiare il territorio e offrire protezione alle vittime dei soprusi. A cominciare naturalmente dal principale sindacato italiano, bersaglio di un'aggressione selvaggia e perfino paradossale, essendo il suo segretario Maurizio Landini una tra le figure più esposte nel dubitare dell'applicazione del Green pass fra i lavoratori (all'inizio vi si era opposto, poi si è ammorbidito).
Ma il discorso vale per noi tutti, spettatori di un penoso e anacronistico tuffo negli anni più oscuri del contrasto alle schegge eversive e insurrezionaliste annidatesi dei movimenti di contestazione. Se il ministro dell'Interno non riesce a controllare gli innumerevoli sbarchi più o meno clandestini dei migranti irregolari provenienti dal Mediterraneo, l'impatto dell'inadeguatezza avrà comunque una ricaduta nel medio termine, restando circoscritto a lungo nei luoghi deputati o costretti all'accoglienza. Il che non costituisce un'attenuante, è una semplice constatazione. Ma se il Viminale non sa prevenire la strumentalizzazione aggressiva, esagitata e vile, di una manifestazione che nelle premesse doveva coinvolgere una stragrande maggioranza di persone pacifiche, significa che l'Italia ha un grave deficit di governo al cospetto di un problema paragonabile a quello segnalato dal politologo Olivier Roy a proposito dell'islamismo. Per lo studioso francese, la questione centrale non sta tanto nella radicalizzazione dell'islam quanto nell'islamizzazione del radicalismo sociale delle banlieue dimenticate dallo Stato.
MONOPOLIO PUBBLICO
Per noi, oggi, potrebbe valere un fenomeno analogo circa il tema delle libertà costituzionali: non dobbiamo temere tanto la radicalizzazione dei neofascisti, che Lamorgese più o meno conosce nome per nome ed è in grado di neutralizzare in un attimo, quanto la torsione squadrista di un radicalismo eterogeneo e confuso raggrumatosi intorno alle paure, alla disinformazione, all'esasperazione di cittadini e categorie sociali alle prese con gli effetti devastanti della pandemia e con il faticoso tentativo di tornare alla normalità pre Covid. Laddove il lavoro ingrato della persuasione si riveli insufficiente, laddove l'obbligo finisca per generare reazioni avverse sopra le righe della dialettica civile, resta il ricorso al monopolio pubblico della violenza. Che deve però essere tempestivo ed efficace, mirato per quanto possibile e orientato anzitutto dal principio della prevenzione. Esattamente il contrario di quanto ha fatto, o non ha fatto, il ministro dell'Interno.