Marco Mancini lascia? "Resa senza condizioni". Retroscena 007, cosa c'è dietro la foto all'autogrill con Matteo Renzi
Dopo 37 anni di carriera trascorsi nei servizi segreti italiani, Marco Mancini andrà in pensione anticipata. "Una resa senza condizioni della spia pret-a-porter che per un quarto di secolo ha sussurato all'orecchio della Politica" scrive Carlo Bonini su La Repubblica. "Nella scelta della sessantenne spia emiliana - prosegue - di consegnarsi docilmente prima allo smaltimento delle ferie arretrate (in corso), quindi all'umiliazione della destituzione dall'incarico nel Dipartimento per le Informazioni e la Sicurezza (deciso) e infine a un prepensionamento 'volontario' che firmerà a metà luglio, preferito a un rientro punitivo non solo la nemesi dell'Icaro che troppo si è avvicinato al sole". A portare Mancini a questa decisione, anche l'incontro in autogrill con il leader di Italia Viva Matteo Renzi.
"È anche e soprattutto il capitolo finale di un'infelicissima stagione della nostra Intelligence e dei suoi rapporti con il Palazzo" sottolinea Bonini. Con una decisione comunicata al diretto interessato alla vigilia del 2 giugno, al sottosegretario con delega alla sicurezza nazionale Franco Gabrielli e alla nuova direttrice del Dis Elisabetta Belloni, sono bastati una ventina di giorni per "far fuori" la spia che, per 15 anni (il suo arresto nella vicenda Abu Omar risale al 2006) ha tenuto in costante apprensione il sistema di Intelligence italiana e otto diversi governi di maggioranza.
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L'episodio svela due cose importanti, sottolinea Bonini. La prima: "Un 'metodo' della presidenza del Consiglio e del primo cerchio di uomini e donne che sono stati chiamati a presidiare in questa fase gli snodi cruciali delle istituzioni e della vita del Paese, l'economia, la sicurezza nazionale, la protezione sanitaria". La seconda, invece: "Un capovolgimento dei rapporti di forza con gli apparati e l'emancipazione della logica del 'ricatto', o del baratto, se si preferisce... Marco Mancini, al pari dell'ex direttore del Sismi Nicolò Pollari (a lungo suo padrino, prima che lo scaricasse ingloriosamente nella vicenda Abu Omar), doveva infatti la sua longevità alle debolezze e alla vanità degli interlocutori che aveva saputo agganciare nel tempo".
Ad avere creato non pochi problemi la legge 124, sopravvissuta alla riforma dell'Intelligence del 2007. "Dando contestualmente straordinaria prova di continuità nell'offerta di informazioni privilegiate ad alto valore aggiunto nello scontro politico. Al punto da convincere - scrive il giornalista - in questi ultimi 14 anni una parte degli apparati a costituirsi come 'moschettieri del Re'. Quale che fosse il Re di turno a Palazzo Chigi. Degradando la fedeltà repubblicana a una cambiale per la scalata al cielo di carriere importanti. Come funzionassero le cose con Mancini lo aveva capito Matteo Renzi, lo avrebbe colto Matteo Salvini e ne sarebbe stato rapito Giuseppe Conte" sostiene Bonini.
Lo aveva capito anche Gennaro Vecchione, ex direttore del Dis, che Marco Mancini teneva bene in pugno, tanto da riuscire ad arrivare a un passo dalla promozione a vicedirettore del Dipartimento. "La fine di Mancini e le modalità con cui si consuma sono dunque un avviso ai naviganti ancora negli apparati che con lui hanno condiviso una cultura dell'Intelligence. E sono il segnale di Gabrielli e Belloni alle attuali catene di comando delle due Agenzie (Aise e Aisi) di quali siano e dovranno essere i parametri su cui misurare la fedeltà repubblicana di chi ne fa parte".
La partita si gioca ora sulla cybersicurezza, l'ultimo azzardo di Conte, Vecchione e Mancini per costituire una una nuova struttura, oltre alla legge di riforma dell'Intelligence per concentrare nelle proprie mani "poteri, informazioni e know how", ormai parte integrante della sicurezza ai tempi del digitale. L'ultima carta del mazzo, fuori dalle disponibilità di Palazzo Chigi è il Copasir: il comitato parlamentare incaricato a controllare i nostri servizi. Le dimissioni del presidente leghista Raffaele Volpi e di Paolo Arrigoni lo scorso 20 maggio, assieme alla vicenda dei rapporti con l'Iran che hanno frenato la candidatura alla presidenza del senatore di Fratelli d'Italia Adolfo Urso, hanno portato a una fase di stallo, la cui unica via d'uscita sarà la nomina ex novo di tutti i suoi componenti, spiega Carlo Bonini.
"Quanto al prepensionato Marco Mancini - aggiunge il giornalista romano - è difficile immaginarlo di qui in avanti ai giardinetti o sulla battigia romagnola, o in qualche osteria dell'imolese a giocare a bocce. Il mercato dei "free agent" della sicurezza ha fame di profili che arrivano dal cuore dell'intelligence. A maggior ragione se ritengono di avere un conto in sospeso con chi li ha congedati con disonore. Insomma, di "doppio Mike" torneremo a sentir parlare presto. E magari lo ritroveremo proprio sulla frontiera del cyber". E chissà che in questo caso non possa ritrovare l'amico di lunga data Giuliano Tavaroli.