Luca Palamara spiato illegalmente per tre mesi: dove sono finiti quei nastri?
«Sono allibito». È stata questa la reazione del gup del Tribunale di Perugia, Piercarlo Frabotta , dopo aver ascoltato ieri mattina in udienza la relazione dei poliziotti sul server che gestì le intercettazioni nei confronti di Luca Palamara. Il trojan inserito nel cellulare dell'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati, invece di spegnersi come previsto il 30 maggio del 2019, sarebbe rimasto acceso fino al successivo 8 settembre. La notizia ha del clamoroso. I funzionari dell'Unità investigativa dell'Anticrimine informatico della polizia, la ex "postale", erano stati incaricati di ricostruire le modalità di svolgimento delle intercettazioni effettuate dal Gico della Guardia di finanza di Roma sul cellulare dell'ex pm romano. Palamara, dopo essere stato indagato con l'accusa di aver preso soldi quando era al Consiglio superiore della magistratura per nominare alcune toghe, venne sottoposto ad intercettazione con il famigerato trojan, il virus spia che trasforma il cellulare in un microfono sempre acceso. Nel mirino dei poliziotti erano finiti, in particolare, gli apparati forniti dalla società milanese Rcs, leader negli ascolti, ad iniziare dal server che aveva raccolto tutti i dati.
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Fra le tante anomalie, come lo spegnimento "improvviso" del trojan quando Palamara narra a cena con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, era emerso che il server fosse a Napoli e non a Roma. Una domanda non di poco conto. Per legge, infatti, il server deve essere dove si svolgono le intercettazioni, in questo caso nella capitale. Il motivo è semplice: chi effettua gli ascolti deve averne sempre il controllo. Se il server è altrove potrebbe accadere che qualche soggetto esterno alle investigazioni decide di buttarci un occhio dentro e acquisire informazioni che devono invece rimanere riservate. Ad evidenziare le anomalie sul funzionamento a “singhiozzo” del trojan era stato lo stesso Palamara, depositando una segnalazione in Procura.
Per chi si fosse perso qualche puntata, Palamara, dopo essere stato indagato a Perugia, ufficio giudiziario competente per i reati commessi dai magistrati romani, fu intercettato con il trojan per tutto il mese di maggio del 2019. Il 30, per la precisione, venne poi sottoposto a perquisizione con il conseguente sequestro del cellulare. I finanzieri, dopo aver fatto la copia della memoria, restituirono il cellulare a Palamara ed i pm ordinarono al Gico l’interruzione di ogni attività di ascolto. Questo sulla carta. Perché, allora, il server è rimasto acceso per altri tremesi come ha riferito ieri l’ispettore Francesco Sperandeo davanti ad un «allibito» giudice Frabotta? E, soprattutto, il trojan ha continuato a registrare le conversazioni di Palamara ? In caso positivo, chi ha adesso quegli ascolti dal momento che non sono mai stati depositati agli atti dell’indagine? La società Rcs? Il Gico della Guardia di finanza? Una circostanza gravissima e penalmente rilevante, l’ascolto abusivo, alla luce del fatto che Palamara in quei tre mesi ha continuato ad incontrare importanti personalità dello Stato. Esiste un legame con la loggia segreta Ungheria?
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Frabotta si è riservato di decidere cosa fare alla prossima udienza prevista per il 4 giugno. Non si esclude una super perizia sul server. Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, presente ieri in udienza svoltasi in camera di consiglio, sembra fosse alquanto nervoso. Cantone, ex presidente dell’Anac, è arrivato a Perugia come procuratore quando il Palamaragate era già scoppiato da un pezzo. Quindi non può essere accusato di nulla.Certamente, però, dovrebbe essere il primo a volere comprendere come si siano effettivamente svolte queste intercettazioni che hanno terremotato la magistratura italiana e che da due anni avvelenano il clima con ricatti incrociati e dossieraggi assortiti. Un dato è certo. Di questa vicenda si discuterà ancora a lungo.