Funivia Stresa Mottarone, tra le vittime il responsabile della sicurezza ebraica: l'inquietante pista del sabotaggio
Il suo nome è Moshe Eitan Biran, compirà sei anni il primo luglio e lotta per vivere. Si trova in rianimazione all’ospedale infantile di Torino Regina Margherita ed è sopravvissuto alla tragedia del Mottarone. È nato in Israele, ma da quando aveva un anno vive a Pavia, con la sua famiglia, che non c’è più. Il papà Amit Biran di 30 anni, la mamma Tal Peleg di 27 e il fratellino di Moshe, Tom di 2 anni, sono morti nello schianto. I corpi sono stati trovati lontano dalla funivia e la mamma stringeva al petto il bimbo più piccolo, come per proteggerlo. Avevano lasciato Pavia ieri mattina per una gita in montagna programmata già da alcuni giorni insieme ai nonni materni, Itshak e Barbara Cohen, di 83 e 71 anni, deceduti anche loro. Una famiglia israeliana che aveva scelto l’Italia come Paese d’adozione. A Pavia, Amit Biran aveva studiato Medicina e Chirurgia, poi si era sposato in Israele e aveva convinto la moglie a trasferirsi in Italia. In Israele era tornato con Tal in occasione dei parti dei due figli.
Mit e Tal erano profondamente legati, anche dalla fede religiosa e si erano sposati in sinagoga. Un fede che per la coppia rappresentava anche un impegno, tant’è che Amit Biran aveva accettato l’incarico di responsabile per la sicurezza della comunità ebraica di Milano. Un ruolo particolarmente delicato, specie in questo periodo e alla luce dei fatti avvenuti in Israele. Per tale motivo l’inchiesta su quanto accaduto sul Mottarone potrebbe riservare ulteriori e nuovi sviluppi. Indagare anche partendo dal ruolo ricoperto in seno alla comunità ebraica da parte del trentenne israeliano è, allo stato dei fatti, quantomeno un atto dovuto. Certo è che la cabina è caduta, come hanno confermato i magistrati inquirenti, «perché non hanno funzionato a doverei sistemi di sicurezza», ma resta da stabilire il perché. Se si sia trattato della conseguenza di una mancata manutenzione o di altre cause, compresa quella, per quanto incredibile e improbabile, del sabotaggio.
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All’elenco delle vittime si è poi aggiunto, nella serata di ieri, un bambino ricoverato anche lui al Regina Margherita. È stato identificato in serata, era il figliolo di Vittorio Zorloni ed Elisabetta Persanini, anch’essi periti nella funivia. Le condizioni di Tom, spiegano in ospedale, sono molto gravi. «Entrambi i bambini - ha aggiunto il professor Fabrizio Gennari, direttore della struttura complessa di chirurgia pediatrica dell’ospedale infantile - sono stati trasportati in elicottero fino all’Oval Lingotto di Torino dove, con le ambulanze, sono stati trasferiti al Regina Margherita. Il secondo bambino, poi deceduto, è apparso subito in condizioni disperate. È arrivato dopo circa mezz’ora in condizioni davvero molto critiche. Siamo riusciti a rianimarlo. Giunto in pronto soccorso, gli è stato praticato il massaggio cardiaco dopo che il suo cuore aveva cessato di battere. È stato poi sottoposto alla tac ed è stato intubato. Aveva riportato un gravissimo trauma cranico e fratture alle gambe".
L’elenco dei deceduti, di cui uno ancora da identificare, segue con nomi di persone che desideravano trascorrere una domenica serena e, invece, hanno incontrato un destino atroce. Ci sono un cittadino iraniano, Mohammad Shahisa, di 33 anni, residente a Diamante (Cosenza) e la sua compagna italiana, Serena Cosentino di 27 anni. Poi un’altra coppia: Silvia Malnati, 27 anni e Alessandro Merlo di 29, entrambi di Varese. Tra le vittime altri due israeliani, i genitori di Tal, Barba Cohen Konisky di 71 anni e Itshak Cohen di 83. Le altre vittime sono tutte italiane: Vito Angelo Gasparro, 45 anni, e Roberta Pistolato di 40 anni, entrambi di Bari, e Vittorio Zorloni, 56enne di Seregno, e la moglie Elisabetta Persanin, morti come detto insieme al figlio di 5 anni.
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Nella serata di ieri, tornando alla base di Stresa, Matteo Gasparini, responsabile del soccorso Alpino per il Verbano-Cusio-Ossola, aveva un nodo alla gola e parlava a fatica: «È stato un disastro, un terribile disastro». Lui e una trentina di uomini hanno cercato per ore superstiti e deceduti. «Non sapevano dove guardare - ha raccontato -, la cabina era pressoché disintegrata, all’interno non c’era alcun corpo. Abbiamo dovuto cercare nel bosco, anche a più di cento metri di distanza. Cinque cadaveri erano accanto alla carcassa della funivia, gli altri non sapevamo dove. È stata una corsa contro il tempo. Con le mani abbiamo spostato tronchi e arbusti per cercare i corpi, senza sapere quanti potessero essere». Un racconto angosciato, quello di Gasperini: «C’erano famiglie intere, 15 persone in tutto,almeno queste sono quelle che abbiamo trovato». La cabina ne poteva ospitare 35, ma dalla stazione di partenza avevano confermato che ve ne fossero meno della metà. «Ci siamo trovati di fronte ad una scena apocalittica», aggiunge Gasperini, «abbiamo lavorato fianco a fianco noi del soccorso Alpino, i vigili del fuoco, i carabinieri e anche i poliziotti. Era necessario fare in fretta per individuare se vi fossero sopravvissuti». Nella serata di ieri tutte le salme sono state portate a valle e composte negli obitori di Stresa e Verbania a disposizione dell’autorità giudiziaria e, a tarda ora, sono giunti, straziati, i primi parenti delle vittime.