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Immigrazione, la strage e i 130 morti in mare: giallo sulla rotta di Ocean Viking

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Il naufragio e la morte dei 130 migranti davanti alle coste libiche potrebbero essere collegati in qualche modo al caos nell’organizzazione dei soccorsi. Potrebbe esserci qualche legame, in particolare, con la presenza della Ocean Viking, la nave della Ong Sos Mediterranee che da giorni si trovava davanti alla Libia. Per capire meglio la vicenda, è necessario sapere che nel 2018 l’Imo (International maritime organization) ha ufficialmente riconosciuto l’area Sar libica, nella quale i soccorsi vengono coordinati dalla Guardia costiera libica. Stando alle leggi internazionali, come spiega il Giornale, non si può entrare in un’area Sar altrui e interferire. Nel caso della zona libica, per esempio, le autorità italiane possono intervenire solo se le autorità dello Stato competente non rispondono.

 

 

 

Prima del naufragio, invece, la Ocean Viking si trovava già in acque Sar libiche. Era lì dal 19 aprile, in attesa  di qualche barcone. Questa la ricostruzione riportata dal Giornale: alle 22 del 20 aprile, nonostante il mare in tempesta, tre natanti sono partiti in direzione della Ocean Viking, che fino a poche ore prima stazionava a 30 miglia nautiche da al-Khoms, città libica. Dopo aver preso il largo, i migranti iniziano ad avere dei problemi e quindi chiedono aiuto ad Alarm Phone, che avverte i libici. A quel punto, però, la Ong non si trova più nello stesso punto, ma è molto più lontana, a causa di un’altra segnalazione vicino alla Tunisia. 

 

 

 

Parte, allora, una motovedetta libica per andare incontro ai tre barconi in difficoltà, chiedendo anche l’aiuto di altre imbarcazioni. Un primo barcone viene individuato dai libici; i cadaveri delle persone a bordo del secondo vengono avvistati il giorno dopo, mentre della terza imbarcazione con circa 40 migranti non si sa nulla. “Abbiamo ricevuto la chiamata e inviato subito una motovedetta da al-Khoms verso la posizione comunicataci sia da Imrcc Italia che Mrcc Malta. Ci siamo assunti le nostre responsabilità, abbiamo collaborato”: queste le parole del commodoro Massoud Abdelsamad, portavoce della Marina libica, in risposta alle accuse delle Ong.

 

 

 

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