Immobili Inps, le case abbandonate al centro di Torino
L'inchiesta /5
Dall'inviato a Torino
A Torino anche l’Inps vive le sue contraddizioni con un sussiego tutto sabaudo.
Al numero 17 di viale Bligny, nel cuore sciccoso delle città, a due passi dalla Mole e dall’obelisco di piazza Savoia, tra le Biblioteche Civiche, la Scuola di Applicazione dell’Esercito e il Collegio Carlo Alberto, scorrono file di palazzotti e villette Liberty. Tra di esse svetta una palazzina semiabbandonata, con circa 7 appartamenti sfitti, 25 pertinenze e un locale commerciale dalla catena arrugginita e affogato tra i murales. La costruzione abbandonata è dell’Inps. All’imbrunire, inquieta per il livido giardino d’ortiche e tutte le finestre del primo e terzo piano chiuse, mentre dal secondo piano riverbera la luce di un abbaino. Il che è strano perché, sulla carta almeno, lì dentro non ci dovrebbe essere nessuno. La sensazione è quella delle case che ridono negli horror di Pupi Avati. “E’ vuoto e sperduto da tempo immemorabile, sicuramente dai 3 anni in cui io sono qui..”, commenta un ragazzo assembrato con altri coetanei nell’avvinazzata inaugurazione di un locale lì a pochi metri. Cin cin, mi fa. Poi basta. Lo spreco di denaro pubblico rimane solo un sussulto di dignità.
Anche perché, nel capoluogo piemontese, il patrimonio immobiliare Inps non a reddito non si nota subito. Lo scovi nei dettagli. Qui gli appartamenti dell’ente di previdenza sono stati quasi tutti venduti, ma c’è una folla sterminata di uffici, box, cantine, solai, garage, posti auto inutilizzati e ingoiati dai topi e dalla muffa. Prendete piazza Garimberti 1, alle spalle dell’arco che sovrasta la passarella del Lingotto, ex periferia mai del tutto riconvertita. “Qui c’era l’ex mercato dell’ortofrutta, tutto sparito nel piano di ristrutturazione delle Olimpiadi, ma le cose, dal punto di vista dell’edilizia sono rimaste a metà, fino a tre anni fa qui era quasi infrequentabile a causa di extracomunitari...”, dice Marco titolare del Bar Cremeria sotto l’immenso stabile Inps che si staglia sul palazzo gemello di via Corsica 2. Il palazzo è una linea di persiane annerite e consunte, i balconi coperti da tende a strisce bianche e verdi nascondono appartamenti da 90 metriquadri. Un signore al secondo piano fa la spia, mi segnale il vicino inesistente: “la ci abitano…” e fa il cenno del silenzio, e allarga le braccia. Mi metto a contar: a fronte di 5 abitazioni affittate a privati con prezzi che variano da 1769 a 5601 euro l’anno, svettano una ventina di “unità secondarie” e una decina di magazzini e locali deserti.
Scorre una varia umanità. Un bar che vende tramezzini con gente radunata davanti al chiosco a discutere di Covid e Juve. Bambini con balia che parlano russo. Un signore con gli occhiali che usa la mascherina per soffiarsi il naso. In via Corsica un altro tizio con l’accento di Macario sorride, indicandomi il fantasma di un quartiere allattato a promesse. Anche qui gli appartamenti dati “In uso a privato” variano da 1656 a 2629 a 5601 euro annui. Macario bascula a 180°, e mostra l’imbocco di via Asuncion 40: davanti a palazzi in eterna demolizione si alternano derrate di detriti e il progetto di un “centinaio di garage”; pure qui ventina tra locali, garage, cantine , soffitte, box giacciono “inutilizzate”. Vedo almeno 5 spazi commerciali chiusi in pochi metri, 3 abitazioni e 3 cantine, per non dire delle pertinenze. Impressionante, quest’immagine di un’economia reale che s’accartoccia sui lucchetti dell’Inps.
Ad un tiro di schioppo c’è corso Agnelli: al civico 81/85 s’erge un isolato signorile, illuminato dall’insegna di una farmacia. “L’Inps sta vendendo tutto, è inutile che cerchi…” mi blocca un tipo di picchetto con le fattezze di un portiere; epperò lo stabile pare abbia ancora una decina di abitazioni sfitte e 25 tra cantine, box e solai liberi. A fronte di una dozzina di abitazioni improduttive per le tasche dello Stato, ne contabilizzo una ventina occupate da medioborghesi, ad affitti sotto la soglia di povertà che variano da 1640 a 2300, a 6037, a 7580 fino a 460 euro, tutti annui a seconda della metratura. Ma il florilegio sta, appunto nelle “unità secondari e le pertinenze” lasciate all’oblio dei popoli, circa 25. Girato l’angolo, in via San Marino 41, all’interno di un cortile spalancato, si entra in una terra di nessuno, un “parcheggio collettivo inutilizzato dell’Inps”; là, tra impalcature e con dignità sabauda, ognuno parcheggia quel che gli pare, dalle auto alle macerie. Percorro la grande arteria di corso Sebastopoli, dove al numero 55 si levano, dell’Inps, una ventina tra cantine, garage, appartamenti e locali commerciali alla deriva. La zona, più si avvicina al centro più assume una certa eleganza: il PalaAlpitur sulla destra è circondato da giardini attraversati da runners. Sfrecciano monopattini elettrici cavalcati da professionisti. In viale Pasubio 11 l’Inps è proprietario di un palazzo che sembra fatto di mattoncini Lego.
E’ talmente silenzioso che nessuno si accorge della saracinesca sfondata in un corridoio di negozi e di un “fabbricato per attività produttive” accanto ad altri sei locali, tutti abbandonati. “Non si preoccupi non reclamerà nessuno: tre anni fa una macchina ci è finita dentro, tutti hanno fatto finta di nulla e l’autista l’ha addirittura parcheggiata lì davanti…” mi dice la signora Rodika, una rumena di età indistinta tra i 30 e i 40 anni che fa le pulizie dello stabile. “E’ tutto così, fermo da almeno 10 anni, l’unico che hanno tentato di rivitalizzare è stato un ragazzo cinese con un bar: ora fa il parrucchiere”. Conto ancora, incrocio i dati catastali. Un’altra dozzina di uffici inutilizzati in via Modigliani, tre in via Arnaldo da Brescia, quattro in via Rosario Santa Fe. M’immagino come l’Inpas, a Torino, possa pensare alla sua palingenesi iniziando dalle cantine…