Vaccino, il professor Zucccotti: "Il nostro siero funziona, ma il governo degli indecisionisti sembra ignorarlo"
Perché sulla pandemia l'Italia sembra sempre al punto di partenza mentre gli altri Paesi progrediscono? «La mia sensazione, ma anche la mia esperienza, è che le autorità ascoltano poco. Oltre che di Covid, c'è un'epidemia di indecisionisti, nessuno si prende il coraggio di scelte forti, a parte quella delle chiusure, anche queste però più emotive che meditate. Con Draghi si è registrato un cambiamento ma non ancora il cambio di passo necessario. Guardiamo alla vicenda Astrazeneca, un ottimo prodotto, un vaccino sicuro. Il governo non ha avuto la forza di sposare le valutazioni dell'Agenzia Europea del Farmaco, si è limitato a dare indicazioni alle Regioni di non somministrarlo a chi ha meno di sessant' anni, ma così è naturale che si sia creato il panico. È stato un pasticcio, molti di coloro che si erano convinti a fare l'iniezione hanno fatto un passo indietro». Gian Vincenzo Zuccotti è il medico delle occasioni perse; non per colpa sua, beninteso, ma perché chi dovrebbe ascoltarlo ha la cera nelle orecchie.
Eppure lui non è il primo venuto. È preside della facoltà di Medicina dell'Università Statale di Milano e primario di Pediatria al Vittore Buzzi, un'istituzione nel capoluogo lombardo. In quanto dottore dei bambini è un'autorità in materia di vaccinazioni ed è affiancato da una squadra che sta lavorando a un prodotto rivoluzionario, totalmente made in Italy. Il professore è restio a parlarne, perché in settimana arriveranno i primi risultati del test sugli animali, dopo che la sperimentazione in vitro ha dato ottimi risultati. «Spero che per l'inizio del mese prossimo potremo passare agli uomini e, se tutto va bene, per fine anno il vaccino sarà pronto» spiega Zuccotti. Troppo tardi? No se, come prevedibile, ci toccherà sottoporci alla profilassi per quattro-cinque anni.
Professore, la domanda di questi tempi è d'obbligo: sarà un vaccino come Pfizer o come Astrazeneca?
«Nessuno dei due. Non sarà un prodotto a RNA, come Pfizer o Moderna, e neppure a DNA come Reitera, l'altro vaccino al quale si sta lavorando in Italia, o con vettore virale come Astrazeneca e Jonson&Johnson. Il nostro siero si basa su una produzione in coltura: abbiamo modificato dei microrganismi presenti in natura che potranno essere somministrati all'uomo, provocando una reazione anticorpale, una sorta di schermo contro il Covid. Più semplicemente: abbiamo ingegnerizzato dei microrganismi unicellulari perché producano le proteine in grado di fermare il virus».
Alla faccia del semplicemente
«Guardi, l'idea è nata alla macchinetta del caffè, lo scorso autunno».
Ma come è possibile?
«Siamo esperti di vaccini al Buzzi, occupandoci di bambini. Nel 2016, grazie a 12 milioni di euro ricevuti in donazione dalla fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi, abbiamo costituito un gruppo di ricerca sul diabete e sulle epidemie. E questo vaccino ne è uno dei risultati».
Quindi l'investimento è stato basso?
«Francamente per arrivare fin qui siamo nell'ordine delle centinaia di migliaia di euro. Abbiamo già depositato il brevetto in Italia a inizio anno e presto lo presenteremo a livello internazionale. Se non avessimo dovuto affrontare le procedure burocratiche previste dalla normativa attuale per la sperimentazione sul modello murino saremmo ben più avanti».
Le prossime tappe?
«Dopo i risultati attesi per questa settimana vorrei parlare con il ministro Giorgetti perché il vaccino si può produrre tutto in Italia, con costi bassi e senza problemi di conservazione. Se il prodotto funziona, l'Italia potrebbe fare la differenza a livello mondiale nella battaglia contro il Covid».
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Perché si parla così poco di voi?
«Al momento sul nostro vaccino è giusto tenere un profilo basso. La cosa che più mi ha sconvolto è quando abbiamo prodotto il cosiddetto tampone molecolare per bambini: un test salivare equivalente a quello naso-faringeo che si può fare tenendo in bocca per un minuto un bastoncino».
Perché per bambini?
«È un modo di dire, perché per eseguirlo non è necessario personale medico o paramedico, può farlo la mamma in casa, prima di accompagnare il figlio a scuola. Ma comunque il suo vero valore aggiunto è un altro: è capace di trovare gli asintomatici positivi tre giorni prima dei tamponi naso-faringei, quindi è il miglior mezzo per frenare la diffusione del virus».
L'ha proposto al governo?
«Certo. L'abbiamo presentato più volte a tutti i livelli. Anche quindici giorni fa abbiamo incontrato il governo, per riparlarne».
E com' è andata?
«A parole tutti ne sono entusiasti e si chiedono perché non sia ancora stato istituzionalizzato. Nella pratica, non si va mai oltre le frasi di circostanza».
Come se lo spiega?
«L'impressione, in verità non solo mia, è che la Lombardia conti poco a Roma. Quanti lombardi ci sono nel Comitato Tecnico Scientifico? Eppure nella Regione non mancano i luminari ma sono più considerati dai conduttori televisivi che dal governo».
La teoria del complotto anti-lombardo?
«Nessun complotto, ma certamente è un'osservata speciale».
Ha anche delle colpe?
«È stato il primo territorio occidentale investito dalla pandemia, quindi disfunzioni anche drammatiche erano da mettere in conto. Ma in effetti mi sarei aspettato una maggiore capacità di reazione, invece è mancata la capacità decisionale. Un anno fa abbiamo avuto molti morti perché le persone non riuscivano a essere ricoverate e nessuno visitava a casa. Inoltre proprio la mancanza di assistenza a domicilio ha condizionato le dimissioni di chi stava guarendo, che veniva trattenuto in ospedale per l'impossibilità di curarlo una volta uscito. Così avevamo persone fuori pericolo in ospedale che non liberavano posti a chi ne aveva bisogno».
È mancata l'organizzazione della telemedicina?
«Sarebbe stata strategica. E a dire il vero io, in Statale, ho costituito con 150 specializzandi un centro operativo chiamato "COD19 - Centro Operativo Dimessi " con il quale abbiamo seguito 34mila persone, garantendo un monitoraggio continuo. Ho anche sviluppato un piano per recuperare con la telemedicina milioni di visite rimaste indietro in questi mesi, ma anche questo è rimasto nel cassetto».
Hanno sbagliato più le Regioni o il governo?
«C'è stata, e c'è ancora, una corresponsabilità generale».
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Quanto è stato grave non vaccinare secondo l'età anagrafica ma inserire una babele di categorie da proteggere prima degli anziani?
«Certo si sarebbero evitati molti morti vaccinando in via prioritaria solamente sanitari e anziani, come indicato solo la settimana scorsa dal governo».
Mettere in sicurezza la popolazione più fragile avrebbe consentito anche di riaprire prima?
«Io non sono aprioristicamente contrario alle chiusure, ma certo non possono essere l'unica soluzione, come invece è sembrato finora. Se non hai una strategia e non mostri la ferma intenzione a riaprire il prima possibile, poi è naturale che la gente non ti segua più. È quello che sta avvenendo da qualche tempo in Italia, dove adesso il governo accelera sulle aperture ma in realtà non detta i tempi, insegue semplicemente i cittadini esausti».
Lei cosa avrebbe fatto?
«Anche qui inascoltato, a livello regionale avevo suggerito una riflessione. La Lombardia è stata la Regione più colpita, con circa il 30% della popolazione contagiata, nella Bergamasca addirittura quasi uno su due. Avremmo dovuto mappare tutta la popolazione con il test pungi-dito, per capire chi era stato infettato, magari senza essersene accorto, e aveva sviluppato gli anticorpi».
Una sorta di esame del sangue?
«Sì. Questo ci avrebbe consentito di certificare la popolazione non a rischio e permetterle di tornare a vivere: farla andare al ristorante e al cinema, dare fiato all'economia».
Quindi lei permetterebbe ai vaccinati oggi di andare al ristorante, in palestra, al cinema? «Sì, bisogna dare una speranza. Che senso ha far fare a chi non rischia nulla una vita da recluso che deve proteggersi dal contagio?».
I furbetti del vaccino però si sarebbero moltiplicati
«Capisco che sia discriminatorio, ma sarebbe stato utile. Comunque, una volta vaccinati tutti i settantenni non ha più nessun senso medico tenere chiuso».
Cosa ne pensa della vicenda Astrazeneca?
«L'Europa ha fatto una pessima figura».
Qual è stato il suo errore più grande?
«È umano attribuire al vaccino tutto quello che in un organismo capita dopo l'iniezione, ma certe decisioni drammatiche sono giustificate solo quando ci sono una reazione sistematica e un nesso di causalità provato. Qui invece si è agito in preda al panico. L'Europa non ha avuto un comportamento scientifico».
Cosa avrebbe dovuto fare? «Fidarsi delle proprie agenzie regolatorie».
Adesso i contagi stanno scendendo
«Le epidemie hanno un andamento ciclico. È normale che con le chiusure il virus deceleri».
Ci sarà la quarta ondata?
«Se si procede con le vaccinazioni, e considerando che tra un mese arriverà la bella stagione, non credo».
Poi però tornerà l'inverno
«In realtà i periodi più critici per il Corona sono i cambi di stagione, ottobre e marzo, come si è visto. Però mi auguro che la profilassi il prossimo autunno ci ripari. Dovremmo farla per parecchi anni, per questo al Buzzi ci stiamo adoperando per il vaccino tutto italiano a costo quasi zero».
Il Covid ancora oggi uccide meno del tumore o delle malattie cardiache: perché ci fa così più paura?
«Perché si diffonde rapidamente e ha una crescita esponenziale. Non è solo una questione di tenuta degli ospedali, perché il sistema sanitario attualmente non riesce a stare dietro neppure a tumori e crisi cardiache, e la pandemia ha solo aggravato questa situazione».