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Vaccino, metà italiani non vuole più il siero. Indiscrezioni: Mario Draghi considera di introdurre l'obbligo

 Mario Draghi  

Fausto Carioti
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Al momento è un timore, sebbene rafforzato dai numeri virtuali dei sondaggi. Ma se la defezione di massa fosse confermata dai numeri veri, quelli degli italiani che da oggi saranno chiamati a farsi immunizzare col vaccino AstraZeneca, il governo Draghi si troverebbe dinanzi ad un enorme guaio, e il conto pagato da noialtri al Covid si allungherebbe ancora. Niente vacanze estive in relativa sicurezza, addio all'obiettivo (già difficile così) di raggiungere l'immunità di gregge (...) (...) entro il 21 settembre, mediante la vaccinazione dell'80% della popolazione al ritmo di 500mila iniezioni al giorno. Perché il timore, appunto, è che ormai il danno sia fatto, e rimediare sia difficilissimo. Ieri l'Ema, l'Agenzia europea per il farmaco, ha ridato il via libera all'uso del vaccino AstraZeneca, garantendo che «è sicuro, i benefici superano i rischi» e tutto il resto. La palla torna così nel campo dei governi nazionali, liberi di fare ciò che vogliono con la pelle dei loro cittadini, e quello italiano è stato lestissimo ad annunciare che la somministrazione del farmaco ricomincerà stamattina e che la priorità non cambia: «Rimane quella di realizzare il maggior numero di vaccinazioni nel più breve tempo possibile». Missione impossibile senza AstraZeneca, che deve consegnarci 38 milioni di dosi da qui alla fine di settembre. Convinta l'Ema, restano da convincere gli italiani. Il messaggio che è passato, nelle conversazioni alla cassa del supermercato, nelle telefonate tra parenti e nelle chat dei telefonini, è che quello di AstraZeneca sia un vaccino meno sicuro degli altri: perché proprio io me lo devo far iniettare? Stigma senza alcuna base statistica o scientifica, ma avvalorato proprio dalla decisione della Germania (che ha tutto l'interesse a mettere in cattiva luce il prodotto inglese) e degli altri Paesi di sospenderne l'uso, e dall'ulteriore esame cui l'ha sottoposto l'agenzia europea.

 

 

LA CLASSIFICA
Non possono stupire, quindi, i risultati di certi sondaggi. Come quello fatto dall'istituto Emg per l'agenzia Adnkronos, secondo cui il 49% degli italiani ammette di sentirsi «condizionato» dal fatto che la somministrazione del farmaco AstraZeneca sia stata sospesa. A preoccupare è soprattutto quel 14% che dichiara di riconoscersi nella frase «Avevo intenzione di fare il vaccino, ma ora ho delle perplessità», mentre sostiene di essere ancora determinato a farsi inoculare la dose solo il 62% degli interpellati, dunque una quota assai inferiore a quella necessaria per raggiungere l'immunità di gregge. Un'altra rilevazione, fatta da Euromedia prima della sospensione di AstraZeneca, aveva chiesto agli italiani quale vaccino preferirebbero: gara vinta da Pfizer col 23,6% dei "voti", secondo Johnson & Johnson (che nessuno ha ancora visto) con l'8,6%. Tristemente quinto AstraZeneca, indicato solo dal 2,7%. E secondo una ricerca condotta da Roberto Baldassari per il sito Affari Italiani, il 70,8% dei nostri connazionali ritiene che lo stesso prodotto non sia sicuro né efficace.

Manca la cosa più importante, insomma: la fiducia. Ed è strano che a pagarne il prezzo sia uno con il curriculum di Mario Draghi, perché se c'è una cosa che gli economisti conoscono bene è proprio il valore di questo bene intangibile. È la fiducia che spinge a mettere i propri soldi in una banca, a concedere un prestito, ad acquistare un titolo emesso da un governo o l'azione di una società. Nel luglio del 2012, quando annunciò che avrebbe difeso l'euro (e i titoli del debito italiano) «whatever it takes», a qualunque costo, l'allora presidente della Bce scelse di bombardare la fiducia degli speculatori convinti di poter realizzare su scala continentale ciò che a George Soros era riuscito con la lira vent' anni prima. Senza fiducia nella prospettiva di un guadagno non ci sono scambi economici, e senza fiducia in ciò che ci inietta lo Stato non può esserci vaccinazione di massa.

 

 

UN GESTO FORTE
Ci vorrebbe un gesto forte capace di spazzare il pregiudizio negativo nei confronti del vaccino grazie al quale gli inglesi, a giugno, usciranno da ogni tipo di lockdown e potranno tornare - beati loro - alla vita di prima. Servirebbe, ad esempio, che tre, quattro, dieci ministri, e altrettanti governatori di regione, si facessero iniettare subito il vaccino AstraZeneca davanti alle telecamere, anche se il loro turno è tra qualche mese. È ciò che propone il presidente della Liguria, Giovanni Toti, ma la sua, sinora, è vox clamantis in deserto. Draghi e i suoi incrociano le dita sperando che da oggi la situazione si normalizzi e che presto gli italiani accorrano in massa per farsi iniettare il farmaco della discordia. I nostri governanti rischiano così di ricevere una bruttissima sorpresa e di trovarsi costretti, tra qualche mese, alla scelta che mai avrebbero voluto fare: imporre la vaccinazione obbligatoria o accettare altri mesi di ritardo prima che sia raggiunta la sospirata immunità di gregge. Un disastro, in ogni caso.

 

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