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Non è l'arena, il bodyguard di Alberto Genovese accusa Massimo Giletti: "Sapete cosa fa Fabrizio Corona per lui?", un grosso caso

Azzurra Barbuto
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Centoventi chilogrammi di peso per un metro e novanta di altezza. Simone Bonino, 40 anni, è un bestione. Questo aspetto animalesco non va d'accordo con la sua faccia, che è quella tipica del bravo ragazzo, dai modi gentili, egli appare addirittura timido. Alberto Genovese, circa un anno e mezzo addietro, aveva scelto proprio quest' uomo come sua guardia del corpo. A metterli in contatto erano stati dei conoscenti in comune, i quali a Simone comunicarono che un imprenditore, appunto Genovese, «aveva avuto dei problemi con un gruppo di albanesi e quindi necessitava di qualcuno che si occupasse della sua sicurezza», questo ci riferisce Bonino.

Problemi di che tipo? Si trattava di questioni di droga?

«Non ne ho idea. Genovese non me ne parlò mai».

Come ebbe inizio questo rapporto di lavoro?

«La prima volta che fui ingaggiato Genovese mi chiese di sorvegliare la sua abitazione per tutto il giorno perché aveva molta paura».

Paura di cosa?

«Non me lo spiegò. Io mi feci subito un'idea: mi sembrava un individuo estremamente fragile».

 

 

 

Quindi ritieni che i suoi timori potessero essere infondate manie?

«Non lo so. Comunque non si sono mai presentate situazioni di pericolo».

Potresti descrivere meglio Genovese?

«L'ho sempre considerato una persona di cuore, generoso con tutti, attento ai desideri e ai bisogni di amici e amiche, persino premuroso nei loro confronti. Il classico partenopeo».

È mai stato aggressivo con le ragazze o con altri soggetti?

«Mai, almeno quando io ero presente. Ad eccezione di una sera, lo scorso settembre, durante una festa nel suo attico. Avevo lasciato la portafinestra un pochino aperta, quindi usciva la musica, allora Alberto si arrabbiò con me, sottolineando che mi pagava perché facessi il mio dovere. Non me la presi. Queste cose sul lavoro possono succedere, ci vuole tanta pazienza. Inoltre, da quando si era lasciato con la fidanzata Sara, Alberto era diverso, cioè triste, cupo».

Genovese aveva un atteggiamento da maschilista?

«Assolutamente no. Semmai era molto protettivo e attento verso le donne».

E le donne come erano nei confronti di Genovese? Ne erano spaventate?

«Assolutamente no. Le ragazze erano felici di partecipare ai suoi party, ridevano, si divertivano, si spogliavano e si lanciavano in piscina. Lui gli forniva ciabatte, asciugamani, vestiti. Tutto».

La famosa sera di quello che sembra essere stato uno stupro tu eri lì presente, proprio davanti alla porta della stanza in cui si sarebbe consumata la violenza. La giovane aveva il telefonino con lei? Inoltre, ti sembrava tesa, in difficoltà, poco lucida, succube dell'imprenditore? Ti prego di essere onesto e preciso.

«La ragazza non aveva il telefonino quando, intorno alle ore 22.30, è entrata nella stanza, poiché i cellulari venivano lasciati all'ingresso. Preciso che questo non avveniva sempre, ma soltanto nelle ultime feste dato che Genovese temeva che, se gli ospiti avessero tenuto lo smartphone, avrebbero documentato in tempo reale gli assembramenti che avvenivano in casa sua e avrebbe avuto rogne. Tutti dovevano lasciare il telefono. Pure Belen una sera se ne è separata, lamentandosi del fatto che se il figlio avesse voluto sentirla lei non avrebbe potuto rispondergli. La ragazza mi è apparsa molto tranquilla. Mi ha salutato con un sorriso entrando in camera. Genovese era dietro di lei, quindi lei non era sorretta né costretta».

 

 

 

È possibile che la ragazza abbia recuperato il suo cellulare dopo che tu sei andato via, ossia dopo le 2 di notte?

«Certo, non posso escluderlo».

La porta della camera da letto era stata chiusa a chiave?

«Assolutamente no. Neppure quella di ingresso».

Sei rimasto davanti a quella porta dalle 22 alle 2. Hai udito urla, lamenti?

«No. Se avessi sentito rumori di questo tipo, mi sarei precipitato in camera. Il silenzio era assoluto».

Perché eri stato posto a presidio di quell'uscio?

«Perché in quell'area della casa c'erano oggetti di valore. Semplicemente controllavo l'accesso».

Cosa pensi del fatto che una delle ragazze che ha denunciato Genovese per stupro viveva in casa sua, lo frequentava assiduamente da mesi, ha dichiarato di volergli bene e girava con le carte di credito di lui pure dopo il suo arresto?

«Penso che se il Gip l'ha dichiarata "non attendibile" un motivo ci sarà. Penso pure che Genovese sia stato molto sfruttato, tuttavia non se ne rendeva conto».

Insomma, la bestia di via Torino era un tipo addirittura ingenuo?

«Sì».

Perché dici che Fabrizio Corona, attualmente agli arresti domiciliari, ti ha ingannato e truffato?

«Mi ha chiamato il 19 novembre scorso presentandosi come "il re di Milano" e ha insistito perché facessi una intervista per il programma di Massimo Giletti Non è l'arena. Ho accettato di incontrarlo a casa sua, però ho puntualizzato che sarebbe stato presente anche il mio avvocato, cosa che lo ha lasciato contrariato. Dopo un'attesa di due ore dentro il ristorante sito sotto la sua abitazione, finalmente Corona comunica a me e al mio legale che possiamo salire a casa, dove giriamo una intervista pattuendo un compenso di 1500 euro che non ho mai ricevuto, nonostante abbia presentato la fattura. Non solo, l'intervista è stata mandata in onda da Massimo Giletti senza la mia autorizzazione. Non ho firmato alcuna liberatoria né a Corona né a Giletti, infatti agirò per vie legali nei loro confronti».

Ma cosa c'entra Corona con Giletti?

«A quanto ho capito collaborano nell'ambito del caso Genovese. Corona mi ha girato questi messaggi tra lui e Giletti». (Simone ci mostra lo stralcio di una chat tra Corona e Giletti. Quest' ultimo chiede a Corona suggerimenti sui soggetti da invitare in tv).

È vero che hai già querelato Giletti e perché?

«Ho denunciato Giletti per diffamazione in quanto, quando ero ospite nel suo programma, ha insinuato che Genovese abbia comprato il mio silenzio con i suoi soldi facendomi passare per un venduto e un disonesto». 

 

 

 

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