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Coronavirus, Farina e la verità sul caos Italia: "I governatori vanno per conto loro? Colpa del governo, e li accusano pure"

Renato Farina
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Dinanzi ai coriandoli gialli, rossi e arancioni, ma presto ne arriveranno anche di bianchi, tirati a caso in aria la scorsa notte a Roma, con provvedimenti da Carnevale tragico, le Regioni reagiscono cercando di fare da sé. Meno male. Qui non si vuol predicare l'anarchia (del resto non c'è nulla che somigli di più all'anarchia dello spettacolo da Colosseo del circo governativo) ma l'uso legittimo della declinazione locale dei piani nazionali, specialmente quando questi piani non esistono, come dimostra il fiasco delle vaccinazioni, che il commissario Domenico Arcuri cerca di occultare scrivendo letterine coniugate al futuro. Finzioni grottesche. La verità è più forte, non può più essere sepolta. Il nostro governo è riuscito a guadagnare in dieci mesi un doppio primato mondiale: record nel numero di morti per Covid rispetto alla popolazione, peggior performance economica del G20. Che fare? Esiste il diritto alla legittima difesa, ed è quello che stanno provando a esercitare i governatori, ovviamente ciascuno riflettendo conoscenze e sensibilità di chi l'ha voluto in quella carica.

Delirio di onnipotenza

Diciamolo: la pretesa dello Stato, che se ne sta seduto e litigioso sul bordo del Tevere, di esasperare la confusione con la roulette dei colori e nello stesso tempo di impartire ordini minuti e metallici, valevoli per ogni dove, in provincia di Belluno come in quella di Siracusa, è dissennata. Le Regioni si sono viste rovesciare in testa una secchiata di diktat irragionevoli, che è la classica follia da delirio di impotenza. Se il governo Conte, invece di essere preda delle effervescenze intestinali per indigestione di Dpcm, per un incantesimo, fosse afferrato dal buon senso di un padre di famiglia farebbe tesoro di un po' di storia, magari riprendendo in mano il sussidiario delle elementari. Si accorgerebbe che appartiene alla storia, alla geografia e alla natura multiculturale dell'Italia la necessità di declinare nelle venti parlate diverse l'alfabeto dell'emergenza. Lo Stato si chiama "unitario", non si userebbe questo aggettivo se non fosse composto di parti, la verità di questo Paese o è sinfonica o è il disastro. È impossibile prima che immorale omogeneizzare identità differenti che possono riconoscersi in una Patria comune solo se rispettate nelle loro prerogative di autogoverno. È noto che i poteri nel gorgo di un'epidemia fanno capo al governo centrale. Giusto e opportuno. Ad esso spetta fornire la stoffa. Tagliare gli abiti su misura della propria gente spetta a un'autorità prossima. Occorre consentire spazi di decisione a chi conosce l'odore delle contrade e sa quali libertà siano comprimibili e quali sarebbe vessatorio negare. È la democrazia sussidiaria, un principio costituzionale inserito persino nei trattati europei. Rifiutando questo passaggio di vicinanza si finisce per generare disperazione e rivolta. Se c'è rivolta sì, che allora salterebbero le regole di prevenzione e si disfarebbe qualunque coesione sociale. E che accade? La marea, sollevata ad arte dai grandi e piccoli giornali, punta a fare emergere nel Mar della Confusione un rottame ideologico. È l'odio per l'autonomia regionale. Un rancore che si cerca di seminare tra la gente comune convincendola con false notizie che la causa del proliferare del Covid sia da attribuire alle colpe locali dei governatori, in particolare del Nord.

Colpire l'autonomia 

Si era cominciato già a fine marzo, allorché Conte (M5S) e Boccia (Pd) si misero a trattare i governatori da mendicanti dello Stato, che per questo elargiva mascherine con il contagocce; si arrivò persino ad accusare i medici dell'Ospedale di Codogno di non aver scovato per tempo il paziente zero, quando i protocolli per individuare i contagiati spettavano al ministero della Salute. Si è ricominciato in questi giorni. Diversivi utili per distogliere lo sguardo dal malgoverno romano. Crocifiggendo l'assessore lombardo Giulio Gallera che per troppa bontà ha dato riposo ai dottori rimandando di un giorno la vaccinazione. Un errore, ovvio. Un'inezia rispetto ai guasti leggendari di un'estate perduta dal governo. Ma si spara con il cannone contro una farfalla, e si usa il piumino per spolverare il torace del gorilla. Uno strabismo che diventa complicità. Esempi. Il Corriere della Sera: lunedì un piagnucoloso editoriale di Antonio Scurati, premio Strega, e futuro premio Stalin, in cui parte tirando una mollica di pane addosso a Conte e Arcuri, e poi adopera la mazza contro la Lombardia: ieri l'apologia scritta da sé stesso del supercommissario. Il Fatto quotidiano: ieri, ma è solo la fine della serie, esaltazione per "Le nuove misure" di Conte e fossa biologica per "Le solite Regioni" ovviamente "del Nord". I costruttori di pece.

 

 

 

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