Coronavirus e dpcm, gli esperti contro i colori di Giuseppe Conte: "Dati incompleti, inaffidabili e ritardi. Come mosche accecate"
I criteri per decretare il colore delle regioni del nuovo dpcm? Un flop. "Affrontiamo la pandemia con gli strumenti della peste del Manzoni", dice Corrado Crocetta, presidente della Società italiana di statistica. O "con una benda sugli occhi", è l'atro paragone di Fabio Sabatini, economista, La Sapienza, o addirittura, "come mosche accecate", quello di Enrico Bucci, biologo, università di Philadelphia. Anche gli esperti sono scettici sulla decisione del governo di dividere, in base a colori e zone, le regioni a seconda di cifre relative al coronavirus datate dieci giorni fa. "Anche a noi ha lasciato un po' perplessi la classificazione di alcune regioni", scrive il collettivo di ricercatori StatGroup-19, nato per studiare l'epidemia.
Ma il problema non è solo questo. Alcune regioni hanno "un forte ritardo di notifica dei dati" che li rende "inaffidabili". Tra questi, a detta dell'Istituto superiore di sanità, la Campania. "Dati incompleti" - fa sapere La Stampa - anche in Liguria e nella provincia di Bolzano. La Valle d'Aosta non li ha inviati per tre settimane. Per non parlare poi dell'affidabilità dei dati. Che vengono mandati da medici, ospedali e laboratori alle Asl. Da queste alle Regioni. Da queste alla Protezione Civile e al ministero. La Calabria utilizza il fax. Qualcuno osa il foglio excel, ma non c'è un modulo standard.
Insomma, sui dati regna il fai-da-te. Nessuno è in grado di sapere se nel computo dei positivi ci sono anche i tamponi ripetuti più volte sulla stessa persona. Sulla questione, al di là delle dispute Stato-Regioni, regna il caos. Non aiuta poi l'app Immuni ideata dal governo e risultata inefficiente prima ancora del suo funzionamento. "Ci sono state carenza organizzative" spiegano Giorgio Alleva e Alberto Zuliani, ex presidenti dell'Istat. Le stesse che hanno portato il Paese a essere impreparato nella seconda ondata.