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Coronavirus, a Torino la scuola dove si brucia il Covid con la luce: una speranza contro la pandemia

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Alessandro Gonzato
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A Rivoli, 50 mila abitanti alle porte di Torino, c'è la scuola superiore Giulio Natta. Riunisce l'istituto tecnico-tecnologico e il liceo scientifico ed è la prima scuola d'Italia ad aver utilizzato una tecnologia "Covid free". Abbatte i virus con la luce. Centododici led installati nelle 27 aule. Luci al led al soffitto al posto dei classici neon. La tecnologia, abbinata ovviamente al rispetto delle norme anti-contagio, sta dando risultati incoraggianti. L'arma anti-Covid si chiama Air Panel ed è realizzata dalla multinazionale fiorentina Wiva Group. «In questa scuola», dice a Libero l'ad Giuseppe Ranieri, «l'unico ragazzo risultato positivo al Covid, che ovviamente può aver contratto ovunque, non ha infettato nessun compagno. È stata la cartina di tornasole. A gennaio, prima dello scoppio della pandemia abbiamo installato gli impianti in una Rsa di Montelupo Fiorentino, ed è stata una delle poche strutture italiane senza infezioni».

Ma come funzionano questi pannelli? «Si basano sulla fotocatalisi, purificano l'aria», spiega l'ad di Wiva Group. «I pannelli, attraverso i led, generano un processo ossidativo che disattiva la molecola inquinante. Rendono l'ambiente salubre, impediscono ai virus e ai germi di attaccarsi alle superfici. Consumano poco, dunque possono rimanere accesi tutto il giorno». I filtri dell'impianto, sottolinea Ranieri, vanno puliti con acqua e sapone ogni 6 mesi. Il Natta di Rivoli ha speso 40 mila euro. La preside dell'istituto, la professoressa Rita Esposito, inizialmente non ha detto nulla agli studenti per non fargli abbassare la guardia. Scelta quantomai condivisibile. Prima di rivolgersi a Wiva Group, fa sapere, l'istituto aveva sondato il campo in Germania e in Svizzera. «Abbiamo studiato soluzioni fisse e mobili basate sull'uso dell'ozono e del perossido, visionato robottini da utilizzare nelle aree comuni. Alla fine abbiamo trovato la soluzione più adatta ai nostri ambienti».

 

 

 

Chiediamo un parere al professor Elio Giamello, del dipartimento di Chimica dell'Università di Torino. «I risultati in termini di capacità antimicrobica hanno sorpreso anche me», ci dice, «però va precisata una cosa. La luce, da sola, non fa nulla, se non i raggi ultravioletti, ma come si sa sono nocivi. Questa tecnologia accoppia un nanomateriale unico nel suo genere alla innocua luce emessa da sorgenti led. La scienza e la tecnologia della fotocatalisi nascono per due cose: per un aspetto energetico, ossia l'utilizzo della luce per dividere l'acqua e produrre idrogeno. Il secondo, quello sfruttato di più, è l'abbattimento degli inquinanti, processo avviato negli anni '80 in ambienti acquosi e sviluppato a partire dai primi anni 2000 nell'atmosfera. Si tratta di processi di ossidazione che compromettono gli involucri del virus, ne danneggiano la parte esterna. Vengono inattivati, messi fuori uso. Si è perfino osservata, in qualche caso, la fuoriuscita di materiale genetico: significa che il virus è morto».

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