Cronache dal coprifuoco: Milano spettrale, Napoli in rivolta
Silenzi e scorte di polizia sotto il Duomo de la Madunina, scontri davanti alla casa di De Luca
Cronache asimmetriche del coprifuoco. Da un lato si staglia l’arco della Pace spettrale, illuminato soltanto dalle volanti della polizia; e i Navigli muti, frequentati da qualche gatto e un unico passante che sembra uscito da una vecchia canzone di Modugno; e il Duomo, ingoiato nel silenzio con le lacrime della Madunina che si mescolano alla pioggia.
Dall’altro, ecco centinaia di lavoratori manifestanti attraversare l’università, il lungomare, i luoghi della movida, e tutte le piazze della città illividita; e il lungo corteo che si snoda in stile Quarto stato di Pelizza da Volpedo solo lievemente armato di bombe carta e bottiglie da lancio. Ed ecco che s’alzano i cori da stadio ad assediare il governatore De Luca che osserva le fiamme del popolo e quelle dei cassonetti incendiati. Tra l’altro i teppisti infiltrati, mentre assaltano carabinieri e giornalisti, sono coerenti: magari si infilano il passamontagna ma evitano accuratamente la mascherina. Ecco dunque Milano e Napoli, nelle due fotografie plastiche che sembrano annunciare (speriamo di no) l’ora della grande serrata. Milano mastica amaro e sputa il sangue delle sue 300mila imprese parte delle quali –secondo un rapporto McKinsey- destinate a un silenzioso funerale; e fa la posta al sindaco Sala per gli esercizi in centro sempre più deserti, per i teatri e le gallerie col fiato corto, per le partite Iva malate di Covid e le metropolitane senza più distanziamento. Milano ingoia le ordinanze e i Dpcm, alza la voce di giorno ma s’adegua dignitosamente al crepuscolo. Napoli tende alla rivolta più chiassosa. Più di notte che di giorno. I commercianti, i lavoratori by night, i ristoratori vedono l’apocalisse, e innalzano striscioni feroci contro qualsiasi idea di coprifuoco chè “è meglio morire di Covid che morire di fame”. Sono le due anime del Paese reale, le due reazioni contrapposte di una nazione che vive in modo differente la sala d’attesa di un lockdown che produrrebbe catastrofi ma che pure può risultare l’estrema soluzione alla curva dei contagi in arrampicata verso la soglia dell’insostenibile. Sarebbe semplicistico individuare i torti e le ragioni.
Certo, contano anche i modi dei governanti, il loro approccio al virus. A Napoli c’è De Luca, sempre armato di winchester e lanciafiamme, incute rispetto ma anche titilla quella cazzima che, sotto sotto, spinge molti partenopei al rifiuto delle regole. E c’è De Magistris che - quando il Napoli vince la Coppa Italia e a piazza Plebiscito si formano più assembramenti che sul Gange- afferma di “non partecipare alla fiera dell’ipocrisia, quell’immagine non solo era prevedibile, era scontata” (e forse non ha tutti i torti). E c’è Fico il quale, in spiaggia senza mascherina, attira i fulmini dei ribelli: “Scuole chiuse, lidi aperti”. A Milano, si nota Sala invisibile alle telecamere che terrebbe aperto, da solo, le saracinesche; e Fontana, che nonostante le sberle e le capocciate con i tanti sindaci Dem della sua Regione, continua a metterci la faccia esalando sbuffi di ottimismo in una situazione infiammata ad ogni nuovo focolaio rilevato. Approcci diversi, appunto. Ma crisi e paura si spandono. A Corsico, nell’hinterland milanese un tempo popolare ma dignitoso, ieri erano mille le famiglie a non essere più in grado di mettere il pane a tavola. A Napoli chiudono le pizzerie e si spengono i sorrisi, a Milano la nebbia è tornata in via MonteNapo e nelle fabbriche non si ode più il rumore del tornio.
Ma, si badi, non è una gara a chi soffre di più…