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Vaticano, primo paese al mondo per consumo di alcol: Francia seconda per distacco, ecco le cifre

Renato Farina
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C'è un autorevole ente americano, il Californian Wine Institute, che censisce ogni due anni i consumi di vino, Stato per Stato. Non sindaca sulla qualità, probabilmente conta i vuoti. Da quando c'è questo concorso da osteria - dal 2012 - il Vaticano ha vinto i tutti i campionati. Il consumo pro-capite è di 73,8 litri a testa (diciamo cento bottiglie circa), dando un giro alla Francia, seconda con 50,7, e all'Italia, terza con 48,2. Non stupisce questo primato: il vino è l'unica bevanda di Dio, e dunque la sua mescita è nella cittadella dei Papi comprensibilmente larga: evito di scrivere allegra per rispetto, ma non è certo con tristezza, che è caratteristica dell'avarizia, che dentro le mura leonine si tira il collo ai fiaschi.

 

L'istituto californiano non ha considerato - si noti - il vino da messa, che dunque non genera questa abbondanza statistica, così da non mescolare sacro e profano. Resta da capire come mai questa predilezione favolosa. Diciamo che il cristianesimo ha sempre apprezzato il bello. I Papi da sempre sono stati i mecenati delle più strepitose opere d'arte, da Michelangelo a Raffaello a Bernini, e lo stesso impegno posto nello scegliere pittori, scultori e architetti lo hanno posto nel selezionare vitigni ubertosi e vignaioli geniali.
 

DALLA BIRRA
È noto che le grandi birre ebbero i natali nelle abbazie benedettine, che ancora ne producono di meravigliose, e che fu Dom Perignon, anch' egli monaco, inventò lo Champagne. Molto meno è noto che sono stati i Papi nel passaggio dal Medio Evo al Rinascimento a promuovere, con scienza ed arte, la progenie dei grandi cru non solo d'Oltralpe. Lo fecero specialmente durante il loro esilio avignonese, che pertanto non fu così inutile. Lo racconta splendidamente su Nuova Bussola Quotidiana (Nbq) Chiara Marabini. Benedetto XII e Clemente VI, nel XIV secolo, coltivarono da Avignone cultura, arti e vigne. Petrarca se la prese con il primo, che definì non leggiadramente «ubriacone incallito fradicio di vino, grave d'età e cosparso di umori soporiferi».

 

Il secondo, al secolo Pierre Roger, originario del Limousin, mescolò teologia ed enologia, e inaugurò, scrive Nbq, «l'Europa del vino: Beaune, Baumes de Venise, Cassis, Provence, Languedoc, ma anche Saint-Pourçain, Poitou, Rhin e Cinque Terre, in Liguria, figuravano sulla tavola pontificia. A lui è anche legato il primo terroir di Châteauneuf-du-Pape, il "Bois de la Vieille"». Gli esperti di sociologia osservano che il Vaticano è capofila di chi alza il gomito per ragioni estranee alla fede: i circa 900 abitanti sono in grande maggioranza maschi e su con l'età, cioè consumatori tipici di ombre di bianco e di rosso. Noi aggiungiamo che i residenti nello staterello, per lo più chierici, non hanno la possibilità - così si dice - di alternare Bacco con Venere.

SIGARETTE E AFFINI
Quanto al tabacco, che pure era amatissimo da San Pio X, il quale ne usava una presa per il naso - da alcuni anni Francesco ha vietato la vendita di sigarette e sigari nel supermercato del Vaticano, il cosiddetto "spaccio dell'Annona", dove invece i vini abbondano, e pure quelli di altissima qualità sono abbordabili, a prezzi inferiori che in qualsiasi Paese europeo, essendo sgravati di tasse e balzelli. Fatto sta che già nel 2016, quando per la terza volta il Vaticano stravinse contro il resto del mondo, il Daily Beast, pubblicando la classifica del Wine Institute scelse di titolare la notizia così: «Vatican Priests & Nuns Are Drowning In Wine».

Cioè: «In Vaticano preti e suore annegano nel vino». Esagerato. Constatiamo però che di certo nel campo dei drink il dialogo con l'Islam latita alquanto. Com' è noto la sharia punisce con la verga, in Arabia Saudita e in Sudan e in certe zone del mondo musulmano, i sacerdoti che cerchino di introdurre minime quantità di vino per la messa. In attesa che qualche monsignorino astemio metta all'ordine del giorno questo tema con gli scribi musulmani, promuovendo la sostituzione del vino da messa con il tè alla menta, nelle cantine del clero - non solo dalle parti del Colonnato di San Pietro - si resta ancorati allo stile della Chiesa primitiva, preferendo in campo enologico rimanere attaccati alla memoria degli apostoli e dei patriarchi biblici.

L'AMICIZIA
Una vecchia, inestirpabile amicizia lega i fratelli maggiori ebrei, i fratelli minori cattolici, e fratello vino. La Genesi attribuisce a Noè se non l'invenzione enoica di sicuro la prima sbronza della storia. Lungi dal biasimarla, Jahvè approvò la punizione che Noè inflisse al figlio Cam, il quale ne aveva riso stupidamente, mentre Sem e Jafet, che si guardarono bene dallo schernire il costruttore dell'Arca, furono coloro da cui venne la stirpe eletta. Guai a rinunciare al vino. Impossibile. In questa vita e nell'altra. Il tempo eterno del Paradiso è prefigurato da Isaia come un banchetto dove più del cibo conta il succo della vite: «un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Is 25,6). Il vino due volte, due bottiglie a testa. In Vaticano hanno obbedito.

IL BEONE
Del resto i farisei sostenevano che Gesù fosse letteralmente «un beone, amico dei peccatori» lo riferisce Cristo stesso (Matteo 11,19), e lo dice senza rifiutare l'accostamento che i suoi nemici moralisti avevano escogitato per denigrarlo e ferirlo. Mentre a noi, beoni e peccatori, questa predisposizione di Gesù piace molto. Tutti sappiamo, anche chi non frequenta gli inginocchiatoi, che il primo miracolo del Nazareno, istigato dalla Madonna, fu di trasformare l'acqua in vino alle nozze di Cana. Su YouTube si trova un breve filmato di Francesco - i cui antenati in provincia di Asti producevano Barbera - che commenta quel miracolo. Legge il discorso preparato per benino: «L'acqua è necessaria per vivere, ma il vino esprime l'abbondanza del banchetto e la gioia della festa». Poi alza gli occhi dal foglio: «A un certo punto il vino viene a mancare e la festa sembra rovinata. Immaginatevi di finire la festa bevendo tè. Una vergogna. Senza vino non c'è festa". Be', per una volta non si può accusare il Vaticano con tutti i suoi cardinali, vescovi e sacrestani, di non essere coerente. Sulla finanze e sulle lotte di potere, magari non lo è. Ma il giusto onore al vino lo dà, e i calici traboccano. 

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