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Coronavirus, "tanti positivi, pochi contagiosi": la svolta attesa sulla carica virale?

Alessandro Gonzato
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«Ci sono casi di infermiere di 28-30 anni, positive al Covid e monitorate dal servizio sanitario veneto, che non hanno infettato i mariti né i fidanzati nonostante la vita di coppia. La verità è che in questo momento abbiamo tanti positivi e pochi malati. E tra i malati, a loro volta, sono pochi quelli in grado di trasmettere l'infezione. Bisogna dire le cose come stanno, anche se quando uno dice la verità fa incazzare chi fa di tutto per nasconderla: il virus ha ripreso a circolare velocemente, è necessario indossare la mascherina, lavarsi spesso le mani e rispettare le distanze. Ma il virus è mutato, ha perso virulenza, non è quello di febbraio-marzo. L'ulteriore prova è che troviamo asintomatici anche tra i pazienti con carica virale molto alta. Evidentemente il virus è meno aggressivo». Parliamo con Roberto Rigoli, primario di Microbiologia dell'ospedale di Treviso e coordinatore delle 14 microbiologie del Veneto, al termine della riunione nell'Azienda zero (a cui fanno capo le singole Asl) durante la quale la Regione, seguita da Piemonte, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e dalla Provincia di Trento, ha indetto una gara nazionale per l'approvvigionamento dei tamponi rapidi. Ieri il ministero della Salute ha comunicato a livello nazionale 5.372 nuove positività (record di tamponi: 129.471), 28 morti e 29 pazienti in più in terapia intensiva (in totale 387). «Avere test che danno risposte pressoché certe e immediate è fondamentale per combattere la pandemia e consentire alle persone di fare una vita il più normale possibile: ogni giorno, invece, ci imbattiamo in situazioni assurde».

 

 

Mi dica la prima che le viene in mente.
«La più classica: marito, moglie e figli. I genitori hanno un negozio. Il marito, dopo il tampone e 34 cicli di amplificazione del genoma virale durante l'analisi del test, viene dichiarato positivo al Covid, tutti finiscono in quarantena, scatta il tracciamento dei contatti i quali a loro volta vengono sottoposti a isolamento e tampone, il negozio chiude per 14 giorni, i figli non possono andare a scuola. Le pare possibile?».

Cosa vuol dire «amplificazione»?
«Al di fuori dei tecnicismi significa che da tempo, ormai, per individuare il virus in una persona siamo costretti a ricercarlo nei suoi pezzi più piccoli, che quasi sempre non sono più infettanti».

Chi vi costringe?
«Le linee guida: l'indicazione è partita all'inizio della pandemia, sulla scia del terrore, del "moriremo tutti"».

Queste linee-guida dipendono dall'Organizzazione mondiale della Sanità o dal ministero della Salute?
«Dall'Oms, dalle indicazioni delle società scientifiche e dai produttori degli strumenti che consentono di trovare il virus. La comunità scientifica deve rivedere le regole, altrimenti è il caos».

Ci sono segnali?
«Il Cdc di Atlanta, il centro di controllo sulla salute pubblica degli Stati Uniti, uno dei più importanti al mondo, ha già cominciato a prendere le distanze: ha pubblicato un documento in cui spiega che sopra i 33 cicli di amplificazione si tratta di virus morto, incapace di infettare. È un grande segnale: la considero una soglia più che ragionevole, ma potrebbe essere abbassata anche a 30-31. Oltrepassato il limite, una persona dovrebbe essere dichiarata negativa. Nel Trevigiano abbiamo fatto uno studio su 1.422 positivi: partendo dal tampone, nel 53% dei casi sono serviti più di 26 cicli di amplificazione. Nel 49% la positività è emersa tra i 26 e i 35 cicli».

M se andassimo a ricercare all'infinito ogni singolo virus presente nel nostro organismo, non risulteremmo tutti affetti da una moltitudine di patologie?
«Il punto è proprio questo! Oggi vengono dichiarate positive al Covid anche persone che già da un mese con tutta probabilità non sono più in grado di trasmetterlo, persone che hanno passato la malattia e neanche se ne sono accorte. Pensi al male di stagione: se ci mettessimo a ingrandire all'infinito i pezzi di virus responsabile, dopo 40-45 giorni lo troveremmo ancora in soggetti guariti che stanno benissimo e che ovviamente non sono più in grado di trasmetterlo».

Potrebbero esserci controindicazioni ad abbassare il numero di amplificazioni?
«Solo nel caso di un paziente sottoposto a tampone poche ore dopo essersi infettato, quindi con una carica virale bassa che però sta salendo. In ogni caso, dato che nella fase iniziale la carica si moltiplica esponenzialmente, per capire se la malattia è fresca o datata sarebbe sufficiente sottoporlo a un altro tampone il giorno dopo».

Professore: non sembra particolarmente preoccupato dal ritorno dell'epidemia, eppure i numeri sono in aumento. Qualcuno le punterà il dito addosso...
«Non è così. Dobbiamo rimanere estremamente vigili, e aggiungo: non è vero, a differenza di ciò che sento in giro, che la stragrande maggioranza dei giovani non contrae la malattia. Ma non bisogna nemmeno spargere terrore: i casi aumentano, è innegabile, ma al momento i pazienti in terapia intensiva sono pochi. Quello che accadrà in futuro non può saperlo nessuno».

Pochi giorni fa, a Libero, aveva annunciato l'imminente validazione dei test che permetteranno al Veneto di distinguere immediatamente i casi di normale influenza da quelli di Corona. A che punto siete?
«Siamo pronti, abbiamo ricevuto la certificazione. Per iniziare a usarli aspettiamo qualche settimana, quando arriverà l'influenza».

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