Coronavirus, il governo impedisce per decreto di lavorare in smart-working ai positivi anche se asintomatici
L'esercito degli asintomatici, positivi al Coronavirus ma senza alcun problema di salute stanno diventando una caso. Secondo l'effetto combinato dei decreti Cura Italia e Rilancio non possono svolgere alcuna attività, nemmeno nel caso in cui si trovino a prestare la loro opera da casa. In telelavoro. Un piccolo esercito di contagiati, risultati positivi al tampone scova-virus e relegati in quarantena (sacrosanta) al proprio domicilio: secondo una stima sarebbero almeno 10mila destinati però a crescere rapidamente assieme al numero di tamponi giornalieri somministrati da ospedali e Asl. Persone accomunate dal medesimo destino: anche se potrebbero svolgere la loro attività lavorativa in smart working sono impossibilitati a farlo. A loro è fatto espresso divieto di operare, in forza del combinato disposto dei decreti governativi e del messaggio Inps risalente al 24 giugno scorso. Per quanto possano sentirsi bene, sono condannati a stare lontani dalla tastiera del computer così come dal monitor del tablet. Guai se li toccano. Un paradosso di cui si parla da tempo ma che col passare delle settimane riguarda un numero crescente di italiani. Mentre all'inizio della pandemia venivano sottoposte ai tamponi soltanto le persone con sintomi conclamati del Covid 19, ora si testano - giustamente - tutti i contatti degli ammalati. E così si scoprono molti positivi asintomatici. Un vero esercito, vincolato a rimanere in quarantena per non diffondere il contagio, anche in assenza di alcun sintomo della malattia.
Ma se per un tornitore o un fattorino è inevitabile interrompere ogni prestazione di lavoro, per gli "smart worker", che assolvono ai loro impegni davanti al computer, da casa, non si presentano problemi di isolamento totale. I telelavoratori già sono isolati per definizione. Come riferisce il Corriere queste persone stanno diventando un caso. «Aziende con dipendenti asintomatici disponibili a lavorare da casa si sono rivolte a noi per avere chiarimenti ma la nostra risposta stante la normativa attuale non può che essere "no, non si può fare"», racconta al Corsera Cesare Pozzoli, partner dello studio legale milanese Chiello-Pozzoli. Stessa risposta ha dato l'Assolombarda alle imprese che chiedevano chiarimenti.
«Oltre al danno causato all'azienda dalla mancanza del lavoratore bisogna considerare l'impatto sulle casse di Inps», fa notare sempre l'avvocato Pozzoli che conclude: «forse si potrebbe valutare la possibilità di fare lavorare in smart working gli asintomatici quando c'è il consenso del lavoratore». Ma proprio qui sta il passaggio critico. I Positivi senza sintomi risultano «ammalati» a tutti gli effetti, dunque a carico dell'Inps. E da un punto di vista del diritto se un dipendente è in malattia l'azienda non può farlo lavorare. Nemmeno qualora vi sia il consenso del dipendente. Ma la falange dei telelavoratori condannati a non toccare la tastiere è destinata a ingrossarsi presto. Secondo l'Istituto superiore di sanità, negli ultimi 30 giorni i nuovi positivi sono stati 21.724 di cui circa il 75%, oltre 16mila, hanno riguardato persone in età da lavoro. Di queste oltre sei su dieci erano asintomatiche, per lo meno 10mila persone potenzialmente interessate dal problema. Destinate però a crescere in breve tempo qualora i tamponi giornalieri dovessero passare da 100mila a 300mila come previsto dal piano anti pandemia redatto dal professor Andrea Crisanti per il governo. Con tutta probabilità il tema arriverà sul tavolo di confronto fra governo e sindacati che dovrebbe aprirsi sul telelavoro. Il percorso per trovare un'intesa, però, è irto di ostacoli. E la giurisprudenza non gioca a favore. La via maestra resta quella di individuare una nuova classificazione per le assenze dal lavoro, distinguendo tra assenze per malattia conclamata e assenze dovute all'isolamento. Resta da capire se e come si possa introdurre questa casistica.