Immigrazione, l'ammiraglio Luigi Giardino: "Ong, gravi irregolarità. Perché sono un pericolo"
Le operazioni nel Mediterraneo delle Ong sono entrate, di nuovo, al centro del confronto politico, soprattutto ora che il governo ha in animo di smontare le sanzioni previste dai decreti sicurezza per chi non rispetta le disposizioni dell'autorità italiana. E però, su queste organizzazioni, si allunga una nuova ombra di illegalità. A spiegarlo è stato, in una circostanziata intervista all'Ansa, l'ammiraglio Luigi Giardino, capo del VI Reparto sicurezza della navigazione e marittima del comando generale della Guardia Costiera. Che ha messo in fila alcuni punti. Il primo è questo: le navi Ong nel Mediterraneo svolgono un'attività sistematica volta al salvataggio di migranti, che non può essere identificata come un impiego «improvviso e diverso». Tradotto: sono là per quello, e non come, per esempio, i pescherecci o navi commerciali che, navigando per altre finalità, poi si trovano ad eseguire dei salvataggi.
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Il problema è che, stante questa circostanza, secondo la convenzione Solas queste navi dovrebbero essere certificate dagli stati di bandiera per l'effettivo servizio che svolgono e devono rispondere a requisiti ben precisi. Questo ci richiama alla memoria, nella lunga antologia di polemiche sul tema, quel che accadde nel 2018 all'Aquarius, di Sos Mediterranee e Medici Senza Frontiere. La sua attività fu uno dei punti di scontro attorno alla linea del Matteo Salvini ministro, e batteva bandiera di Gibilterra. Poi, però, l'amministrazione marittima del territorio d'oltremare britannico decise di revocarne la registrazione, dove compariva come natante per svolgere ricerche e non salvataggio. Tuttavia, la posizione di Giardino si riferisce alle imbarcazioni sottoposte a fermo amministrativo negli ultimi tempi. Nomi come la Alan Kurdi, la Sea Watch 3 (assurta all'immaginario collettivo per la vicenda di Carola Rackete).
E la Ocean Viking, della Sos Mediterranee. Quest' ultima, appena una decina di giorni fa, aveva definito «palesi molestie amministrative» l'ispezione - e successivo fermo - svolta dalla Guardia Costiera a Porto Empedocle. L'ammiraglio osserva che quei controlli rientrano nei contenuti di una direttiva comunitaria che coinvolge tutte le navi straniere che entrano nei porti italiani. Alcuni di questi controlli sono ordinari, vengono svolti in occasione di circostanze particolari. Quello che riguarda la nave in questione, dice Giardino, è l'aver portato a bordo «in maniera sistemica più persone di quelle che può trasportare». Questi controlli, peraltro, hanno nello specifico portato alla luce «29 non conformità», ravvisabili, ad esempio, nella «scarsa familiarità dell'equipaggio nell'affrontare un incendio a bordo; equipaggio che ha lavorato più delle ore delle consentite; sistemi per la rilevazione degli incendi fuori uso; bagni installati su ponti aperti con scarico diretto in mare».
Insomma, fattori di rischio sia per le stesse persone salvate, sia per l'ambiente (circostanza non nuova neanche questa, qualche anno fa ancora l'Aquarius finì in un'inchiesta per smaltimento illecito di rifiuti). Comunque, la Ocean Viking è in (non) buona compagnia, visto che per le altre imbarcazioni le non conformità emerse dai controlli vanno dalle 18 ai 31. E poi c'è il paradosso finale. Sì, perché nonostante le polemiche e le accuse, Giardino osserva che intorno al provvedimento sulla Ocean Viking non risulta sia stato presentato alcun ricorso né dalla Ong, nè dallo stato di bandiera. Un quadro di irregolarità diffuse, questo, attorno cui si configura l'ennesima ipocrisia della sinistra, legalitaria solo con i nemici.