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Ponte sullo Stretto, l'Italia senza un euro vuole la grande opera inutile. Ma i soldi non ci sono e l'Europa poi ci chiederà il conto

Fausto Carioti
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L'altro giorno le fregole di Giuseppe Conte erano tutte per il taglio dell'Iva. Scimmiottatura di Angela Merkel, che ha investito nell'operazione 20 miliardi di euro. Lei può indebitarsi senza problemi: la Germania riceve soldi in prestito a tasso negativo, ovvero restituirà domani meno di quello che prende oggi. L'Italia, no. Anche per questo, l'idea del presidente del consiglio pare già affossata. Ora è il momento del ponte sullo Stretto e lo scimmiottato è Silvio Berlusconi, che ne fece un tormentone a partire dalla campagna elettorale del 2001. «Abbiamo le idee chiare sui finanziamenti necessari, circa 10.800 miliardi (c'erano ancora le lire, ndr), e su come reperirli», disse il Cavaliere. Infatti vinse quelle elezioni, governò per cinque anni e non ne fece nulla. Così Conte, sempre in cerca di nuove collane di perline colorate da mostrare agli indigeni, non ha dovuto fare altro che aprire il cassetto e tirare fuori quel dossier. Le cui pagine iniziali risalgono nientemeno che al 1971, anno in cui il governo del democristiano Emilio Colombo fece la legge per la «realizzazione di un collegamento stabile viario e ferroviario e di altri servizi pubblici fra la Sicilia ed il continente». Compito affidato ad un'apposita società pubblica, per la cui creazione occorsero dieci anni: già lì, si capì che il progetto era avvolto da un'aura mistica di eternità. E infatti: messa in liquidazione dal governo Monti nel 2013, la Stretto di Messina Spa è addormentata, ma tuttora viva, pronta ad essere risvegliata dal bacio di Conte. Perché proprio il Ponte? Intanto perché è il simbolo per eccellenza della politica sbrilluccicante e vacua che piace tanto al premier e al suo stratega Rocco Casalino. Si fa un annuncio fantasmagorico, tipo «diamo voucher di 500 euro per tre anni alle donne che aspirano a diventare manager», quindi ci si pavoneggia un po', e quando viene fuori che no, mannaggia, non si può fare, è già partita una nuova balla.  Per il governo più meridionale di sempre, poi, è l'uovo di Colombo. Dopo il reddito di cittadinanza e in attesa della statalizzazione dell'Ilva, la promessa di un'altra pioggia di soldi, centomila nuovi posti di lavoro e cantieri aperti a lungo è perfetta per creare nuove illusioni negli elettori e strizzare l'occhio ai grandi gruppi, che con l'arrivo di Carlo Bonomi al vertice di Confindustria sembrano aver scommesso sulla fine dell'esecutivo. La bugia dell'Europa pronta a pagarci l'operazione è la chiusura del cerchio. Proprio a proposito del Ponte, Roberto Gualtieri ha annunciato in parlamento «una ricognizione delle possibili fonti di finanziamento, rispetto alle quali le nuove risorse europee costituiscono una fonte su cui è opportuno fare una valutazione». Si tratterebbe, in sostanza, di scaricare i 6 miliardi di costo del progetto, e magari anche una fettina dei 4 miliardi necessari per le opere accessorie, sul budget della Ue. Idea che gira da oltre dieci anni, e sinora non ha portato a nulla. 

 

 

Due dettagli, soprattutto, guastano il quadretto idilliaco dipinto dal governo. Primo: da Bruxelles, nel migliore dei casi, arriverebbe un co-finanziamento, sul modello di quello già visto per la Torino-Lione. La Ue metterebbe una quota, tra il 40% e il 50%, e il resto verrebbe dalle nostre tasche. Secondo: l'Europa non può darci sia questo, sia tutto il resto che chiediamo. Dopo l'epidemia, ogni Stato controlla col bilancino che l'altro non abbia una fetta troppo grossa. I fondi che avremo, insomma, sono pochi e contati, e se gli italiani vorranno quella striscia di cemento sul mare dovranno pagarsela con nuovo debito e rinunciando a interventi su scuole, carceri, tribunali, strade e altri viadotti. Post scriptum. Ci sarebbe stato da aggiungere che per anni, e sino a ieri, i Cinque Stelle hanno detto che il ponte sullo Stretto sarebbe un «regalo alle mafie». Che Beppe Grillo faceva comizi a Messina per dire che quell'opera è «un'allucinazione mentale da anni Settanta». Che il programma con cui il M5S ha vinto le elezioni prevedeva lo stop a «tredici grandi opere inutili», e il ponte sullo Stretto era in cima alla lista. Ma hanno rivoltato la gabbana tante di quelle volte, e su tanti di quegli argomenti, che una in più davvero non fa notizia. 

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