Vaccino Covid-19, chi è il genio italiano che ci tirerà fuori dai guai: "Non uno scienziato, ma un lobbista"
Che da quel grande calderone degli Stati Generali, inaugurati ieri a Roma dal premier Giuseppe Conte di fronte ai più influenti protagonisti dello scenario europeo, dovesse uscire anche qualche novità concreta, oltre che promesse e riflessioni, era quantomeno auspicabile. Ad arrivare, però, è una delle notizie più importanti e attese non solo dagli italiani, ma da tutti gli europei. Perché, nel pomeriggio, il ministro della Salute Roberto Speranza annuncia il, tanto atteso e finalmente raggiunto, accordo sul vaccino Covid-19. «Insieme ai ministri di Germania, Francia e Olanda, dopo aver lanciato nei giorni scorsi l'alleanza per il vaccino, ho sottoscritto un contratto con AstraZeneca per l'approvvigionamento fino a 400 milioni di dosi da destinare a tutta la popolazione europea».
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COLLABORAZIONE ITALO-INGLESE
Quello realizzato dalla multinazionale farmaceutica è, da un lato, il più promettente degli studi finora condotti per trovare una cura al virus, ma, dall'altro, rappresenta anche un efficace esempio di collaborazione tra diverse realtà, anche italiane, del settore. Sviluppato nei laboratori londinesi della Oxford University, dov' è tutt' ora in fase di sperimentazione, il vaccino è stato progettato in partnership con l'italiana Irbm di Pomezia e, solo in un secondo momento, ha visto l'ingresso della AstraZeneca con le sue risorse e competenze. E dietro a questo miracolo tutto italiano c'è Piero Di Lorenzo, imprenditore che sale sul palcoscenico della Irbm a fine 2009, quando l'azienda di Pomezia era sull'orlo del baratro. L'Irbm, infatti, era nata nel 1990 da una joint venture tra due colossi del farmaco, Merck e Sigma Tau, per operare nel campo della virologia, dell'ingegneria genetica e delle biotecnologie. Nei laboratori arrivano luminari europei e l'azienda di Pomezia riesce a trovare un farmaco chiave per la lotta all'Aids. Tutto sembra andare per il meglio, ma la Merck va in crisi, decide di tagliare e sotto la scure finisce pure Irbm.
È qui che spunta Piero Di Lorenzo. Intuisce il potenziale della società e rileva dalla Merck i beni patrimoniali e immobiliari, molte delle apparecchiature scientifiche all'avanguardia, indispensabili per poter proseguire l'attività di ricerca, oltre che una serie di progetti coperti da brevetto. L'azienda è salva e l'attività riparte. In due anni arriva il pareggio di bilancio, l'assunzione di cento ricercatori, la collaborazione con il Cnr e con l'Istituto superiore di sanità, commesse da università straniere. «Per me rivendico l'attività finanziaria, ai ricercatori che inizialmente mi guardavano come un marziano lascio piena libertà nel lavoro scientifico», spiegava tempo fa Di Lorenzo. La cui carriera, in effetti, sembrerebbe quanto di più distante dall'immagine di chi guida un'importante società della farmaceutica: nessuno studio in medicina e chimica, anzi una laurea in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma e poi un numero incredibile di esperienze lavorative che lo hanno trasformato in professionista della comunicazione.
MANAGER ESPERTO
E, forse, proprio qui si nasconde il segreto del successo suo e delle Irbm di Pomezia: la capacità di rendere tangibili quelle che per il momento sono solo idee e pure l'abilità di sedersi al tavolo con realtà del settore, anche molto più grandi, e stipulare accordi che portino vantaggi e soluzioni a tutti. Insomma, detto in parole povere, il presidente della Irbm è un «lobbista», parola di uso comune negli States ma difficile da pronunciare qui in Italia. Come se fosse un crimine per un professionista utilizzare competenze e conoscenze acquisite per far ottenere migliori risultati, nel pieno rispetto delle regole, alla propria società. Probabilmente, il presidente Di Lorenzo, sulle lobby non ha un'opinione così drastica, tanto da averci scritto pure un libro sull'argomento. «Lezioni di Lobby», realizzato a quattro mani con il giornalista Mino Fuccillo, la cui premessa, incisa sulla copertina, anticipa anche il suo pensiero: «Non solo i poteri, ma anche i cittadini si organizzano in lobby e la democrazia deve rifare i suoi conti».