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Coronavirus, l'Istituto superiore di sanità in piena emergenza? Record di assenteismo: le cifre

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Fausto Carioti
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Un consiglio a tutti coloro (e sono tanti, tra i Cinque Stelle e a sinistra) che vogliono usare i morti in Lombardia come pretesto per togliere la sanità alle Regioni e portarla sotto il controllo del ministero, cioè nelle mani loro e dei loro amici: prima di parlare, guardate cosa succede a Roma, in casa vostra. Dentro all'Istituto superiore di Sanità, sottoposto alla vigilanza del dicastero guidato da Roberto Speranza. Nato nel 1934 come Istituto di sanità pubblica (una delle «cose giuste» fatte da Benito Mussolini, si presume), oggi si presenta come un posto nel quale «circa 2.500 persone», 1.997 in qualità di dipendenti, «lavorano quotidianamente con l'obiettivo di tutelare la salute dei cittadini». Si fregia di essere «il principale centro di ricerca, controllo e consulenza tecnico-scientifica in materia di sanità pubblica in Italia», nel quale hanno lavorato fior di premi Nobel, pure stranieri.

 

 

SOLDI PUBBLICI
Un gioiello della sanità di Stato, insomma. Anche per il prezzo: nel 2020 l'Istituto superiore di sanità prevede di costare 341.168.904 euro, soldi quasi tutti provenienti da finanziamenti pubblici. Una quota di questa somma, di regola, se ne va per i «premi collegati alla performance» che settanta dirigenti si dividono ogni anno: 145.064 euro complessivi nel 2018, ultimo dato disponibile. Tanta roba, ma si sa: per la salute, questo e altro. Domanda: che servizio ha reso all'Italia, durante l'epidemia, questo miracolo dell'efficienza statale? Certo, si è visto Silvio Brusaferro, il medico che per 130.000 euro lordi l'anno lo guida assieme al direttore generale Andrea Piccioli (177.000 euro per lui). Ambedue messi lì dal ministro pentastellato Giulia Grillo un anno fa. Brusaferro ha fama di bravo accademico, come deve essere il presidente dell'Iss secondo statuto: «Scelto tra personalità appartenenti alla comunità scientifica, dotato di alta e riconosciuta professionalità» eccetera. Guidare un ente simile avendo sul collo il fiato dei politici, però, è non è proprio come fare lo scienziato.

BRUTTE FIGURE
Brusaferro e i suoi colleghi si sono accorti in ritardo di ciò che stava avvenendo, e quando hanno fatto parlare di sé è stato soprattutto per le brutte figure rimediate e le indicazioni contraddittorie fornite. Tipo quelle date dallo stesso presidente il 1 febbraio: «L'uso delle mascherine in una persona sana non ha particolare utilità» (adesso, ovviamente, l'Iss raccomanda a tutti di usarle, «anche in ambienti aperti»). Era sempre lui, il 3 febbraio, che rassicurava gli italiani: «Qualsiasi tipo di sospetto viene immediatamente segnalato e controllato, così il rischio di trasmissione è da molto basso a moderato». L'Iss è l'ente che si è distinto per la lentezza nella certificazione delle mascherine protettive, ritardandone la distribuzione in Lombardia, e che ha contribuito alla confusione sugli indici di contagio e sui morti (secondo i suoi numeri, i deceduti per Covid nelle case di riposo del Veneto sarebbero stati più delle vittime complessive nell'intera regione). Ma il dato che più impressiona è quello delle assenze dei dipendenti dell'istituto, la cui pubblicazione è obbligatoria per le regole di «trasparenza» a cui devono sottostare gli enti pubblici introdotte anni fa da Renato Brunetta. Si scopre infatti che tra gennaio e marzo del 2020 il tasso medio di assenze dentro all'Iss è stato del 25 per cento: più che doppio rispetto a quello degli stessi tre mesi del 2019, quando fu pari al 10%. (Nelle imprese private, secondo Confindustria, di norma è assente il 6% dei dipendenti, ma quello è un altro mondo).


 UNO SU DUE
La spiegazione è una sola: nel gioiello pubblico creato e finanziato per salvare la pelle degli italiani, scoppiata l'epidemia è iniziato il fuggi-fuggi. Impensabile, infatti, che professionisti simili siano stati messi in ferie forzate nel momento in cui più sarebbero stati utili. E siccome il morbo si è diffuso a metà del trimestre (l'Iss non fornisce dati mensili sulle assenze), questo significa che a marzo, nel periodo più nero dell'epidemia, in certi uffici dell'Iss si è visto al lavoro un dipendente su due, o anche meno. Chissà che ne pensa Roberto Speranza, "ministro vigilante" che pare vigilare assai poco.

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