Matteo Salvini e i processi per la Gregoretti e Open Arms: "Il vero rischio è un altro, il leader non deve temere le affermazioni da bar nelle chat dei magistrati"
Quanto rischia Salvini? L'interrogativo è suggerito dalla sua lettera al Presidente della Repubblica, in riferimento alla pubblicazione sulla stampa nazionale di alcune conversazioni tra magistrati: «Non so se i vari interlocutori facciano parte di correnti della magistratura o se abbiano rapporti con i magistrati che mi giudicheranno, tuttavia è innegabile che la fiducia nei confronti della magistratura adesso vacilla al cospetto delle notizie sugli intendimenti di alcuni importanti magistrati italiani, per quanto emerso e riportato nell'articolo de La Verità. Quelle frasi captate nell'ambito del procedimento a carico di Palamara palesano, invero, una strategia diffusa e largamente condivisa di un'offensiva nei miei riguardi da parte della magistratura. Tutto ciò intacca il principio della separazione dei poteri e desta in me la preoccupazione concreta della mancanza di serenità di giudizio tale da influire sull'esito del procedimento a mio carico». Salvini ha due procedimenti penali in corso: uno per il caso della nave Gregoretti, per cui è intervenuta l'autorizzazione a procedere del Parlamento ed è stata fissata l'udienza preliminare a Catania; l'altro per il caso della nave Open Arms, per cui si pronuncerà la giunta per l'immunità e le elezioni del Senato. La preoccupazione espressa nella lettera si riferisce al primo. passioni, emozioni, interessi Il problema che il segretario della Lega pone è più profondo di quello - cui solitamente i commentatori limitano la loro riflessione - della dialettica tra politica e magistratura ed ha una valenza quasi epistemologica: possono le decisioni di un giudice essere influenzate da fattori estranei alle leggi che è chiamato ad applicare?
La risposta è pacifica per chi abbia sufficiente conoscenza della materia: sì, possono, ancorché non dovrebbero. Il tema dei condizionamenti al giudizio normativo - passioni, emozioni, pregiudizi, ideologie, interessi - è vasto come la letteratura che se ne occupa, e richiederebbe un'analisi che spazia dalle neuroscienze all'organizzazione del sistema giudiziario, passando per la selezione e formazione dei magistrati. Uno spazio che un quotidiano non ha. Proverò, allora, a spiegarlo citando un aneddoto raccontato da Corrado Carnevale, a lungo presidente della I sezione penale della Corte di cassazione e destinato a diventarne primo presidente, fino a quando fu travolto dall'ondata mediatico-giudiziaria, per la sua fama di "ammazzasentenze" nei processi di mafia: «Il pubblico ministero si era limitato a chiedere la condanna precisando l'importo della multa, la difesa non aveva affrontato nessun argomento. Quando fummo in camera di consiglio, i componenti del collegio s' impegnarono in una dotta dissertazione sul trattamento pensionistico dei magistrati europei. (...) Dopo che furono arrivati alla conclusione che, naturalmente, il peggiore trattamento pensionistico era quello dei magistrati italiani, il presidente si rivolse al collega cui spettava di redigere la motivazione della sentenza e chiese: Quantu ci damu? (la discussione si svolgeva in dialetto siciliano, cosa che non mi dispiaceva affatto). Che pena gli diamo? Scusate un momento, obiettai io: la derubata non ha riconosciuto l'accusato, testimoni non ce ne sono, la somma sottratta non si è trovata nella sua disponibilità. In base a quali elementi questo signore dovrebbe essere condannato? La domanda mi pareva legittima.
Ma il presidente mi rispose: "Tu sei un sofista". Sarò pure un sofista, ma almeno spiegatemi, perché vorrei capire. E lui: "Ma tu lo sai chi è l'imputato? È un barbiere. E lo sai quand'è avvenuto il furto? Era un lunedì". Allora capii dove volessero andare a parare. E soltanto perché era barbiere, quel poveretto si beccò sei mesi di reclusione. Da allora mi sono sempre trovato a disagio nell'ambiente». Quotidianamente, nelle aule di giustizia, vengono fatti ragionamenti di questo tipo (magari un po' più raffinati), che inevitabilmente conducono al più grave dei difetti possibili per una decisione giudiziaria: l'inversione logica. La decisione precede l'argomentazione. Sia chiara, però, una cosa: per quanto diffuso, questo modo di operare raramente porta a danni reali, perché i procedimenti intuitivi (che a volte sarebbe più corretto chiamare istintivi) quasi sempre conducono allo stesso risultato che si sarebbe ottenuto ragionando in termini formali. E va pur detto che, tra tutti i corpi dello Stato (e anche non), la magistratura è quello mediamente più preparato, aduso sin dai primi studi a sviluppare le doti della conoscenza e della tecnica. Ma la neutralità, l'assoluta fedeltà alla legge e al diritto, l'immunità da pregiudizi morali, è uno stato dell'intelletto difficile da raggiungere, ancorché costituisca l'essenza della giurisdizione.
Né giova a tale obiettivo l'incessante pressione mediatica sui casi giudiziari di maggiore rilievo sociale o culturale, spesso alimentata proprio dalla politica, che, a sinistra come a destra, cavalca il desiderio di sangue della piazza, immolando lo Stato di diritto (e, prima di esso, la Ragione) sull'altare del consenso. sull'altare del consenso. Torniamo al quesito di apertura: quanto rischia Salvini? Egli non deve temere le affermazioni da bar che si leggono nelle chat venute fuori nell'indagine su Palamara, ma la visione dei fenomeni migratori che in questa fase storica hanno alcune correnti della magistratura. L'immigrato extracomunitario varia - a seconda dell'ideologia - da nemico dello Stato a soggetto debole da proteggere, almeno nella fase del soccorso internazionale. Per chi aderisce alla seconda è più facile giudicare illeciti i comportamenti dell'ex ministro, vedendovi, più che la volontà di garantire la sicurezza nazionale, la protervia del bullo di estrema destra. Tutto ciò non è ancora una risposta al quesito. Per misurare il concreto rischio di rinvio a giudizio ed eventuale condanna penale - o le ricadute politiche del processo in quanto tale - occorrerebbe scendere nell'analisi dell'accusa mossa per il caso Gregoretti. Ma lo spazio è finito e l'analisi dev' essere rimandata. I processi finiscono dopo anni, un articolo di giornale può finire la settimana dopo il suo inizio.