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Vuoi un locale da occupare?Scrivi a Giuliano Pisapia

Non solo Macao. Raccontateci le vostre "esigenze culturali"
di Andrea Tempestini domenica 20 maggio 2012

E voi dove volete occupare?

3' di lettura

Dopo dieci giorni di occupazione del Galfa, il sindaco ha offerto a Macao gli spazi dell’ex Ansaldo. E voi, volete palazzi o uffici pubblici? Scriveteci e, da domani, pubblicheremo tutti i vostri «bisogni culturali». Stampate e ritagliate il tagliandino in allegato all'articolo e inviatelo a Libero, viale Majno 42, Milano. Potete anche spedirlo via fax al numero 02 999 66 264, o alla email milanolettere@liberoquotidiano.it Ora tocca a voi. I giovani creativi di Macao hanno chiesto spazi al Comune e li hanno ottenuti in dieci giorni. Lo hanno fatto occupando un grattacielo privato, il simbolo «neoliberista» abbandonato alle spalle del Pirellone: l’irruzione nella Torre Galfa ha fatto scattare sull’attenti assessori, conduttori tv al cachemire, cantanti e attori teatrali cari alla gauche meneghina.  Pisapia non ha resistito: il giorno dello sgombero, dopo una riunione burrascosa durata 5 ore con i suoi assessori, si è presentato in via Galvani come un novello messia. «Ho una bella notizia: il Comune vi metterà a disposizione alcuni spazi dell’ex Ansaldo». Manca l’agibilità, i locali saranno pronti tra mesi, i collettivi pseudoartistici manco li vogliono. Ma il dado è tratto.  Il sopruso Ai milanesi - anche quelli che non dormono per il frastuono creativo di Macao e quelli che sono costretti a circumnavigare il quartiere per andare al lavoro - è arrivato soltanto un messaggio: occupate e vi sarà dato. A sinistra c’è chi ripete come un disco rotto che bisogna ascoltare i giovani, chi vede nella protesta la «Milano del futuro» (copyright Boeri). Adesso la palla passa ai lettori: avete anche voi un bisogno di spazi per qualche necessità creativa? Pensate che il Comune dovrebbe «mettere a disposizione» degli spazi pubblici per soddisfare la vostra arte? Non credete di non essere all’altezza. Macao, in dieci giorni, ha partorito quattro piantine, qualche rave, una manciata di graffiti, centinaia di ore di assemblea e una tendopoli in pieno centro. La parola «cultura» è stata sventolata come un lasciapassare per sfondare recinzioni e violare la legge. Un ricatto, oltretutto, vuoto di contenuti se pensiamo che per il momento, in via Galvani, non si vede né Andy Warhol né Toulouse Lautrec.  L'iniziativa C’è anche un’altra strada per far sentire la propria voce, senza invadere edifici: basta compilare il nostro coupon, descrivere i fondamenti «culturali» del vostro bisogno e perdere due minuti per inviarci una mail all’indirizzo milanolettere@liberoquotidiano.it o sui profili Facebook e Twitter di LiberoMilano. Avete anche altre armi pacifiche come il veccho fax e il tradizionale postino. Da domani pubblicheremo tutto: progetti seri e  semiseri, provocazioni e officine creative sconosciute ai più. Come è successo con le vostre migliaia di firme contro l’Area C, consegneremo tutto al sindaco di Milano. Un megafono per far sentire la voce di quella «maggioranza silenziosa» che non ottiene la benedizione di Daria Bignardi e Lella Costa ma che resta a bocca aperta di fronte alla legittimazione - di fatto - di una occupazione illegale nel cuore della città. Prima il grattacielo, poi la strada e gli spazi (sì, ancora gli «spazi») del malcapitato benzinaio di via Galvani. Sei dipendenti, un viavai di auto e un’attività che da un giorno all’altro si trova decapitata per la carnevalata dei giovani creativi. Ragioni di forza maggiore: i collettivi coccolati dalla giunta hanno bisogno di spazi. E il distributore? Chissenefrega? E i poveracci che si svegliano alle sei perché hanno un lavoro non artistico? Chissenefrega, vengano qui a fare festa con noi perché dobbiamo superare insieme la «dicotomia pubblico-privato» (sentito realmente in assemblea).  Imbarazzo Il colmo è che ai ragazzi accampati in strada non interessano bandi pubblici né l’iter che migliaia di associazioni hanno seguito dalla notte dei tempi. Il sindaco, dopo lo psicodramma degli ultimi giorni, ieri ha provato ad abbozzare: «Io ho fatto il mio dovere, ognuno fa le sue scelte. L’importante è che non sia una scelta di violenza. Non c’è problema se dicono di no all’Ansaldo».   E giù con la retorica usurata del dialogo e della partecipazione. «Io ho fatto una proposta alla città che mi sembrava giusto fare in un’assemblea in cui si stavano discutendo temi di cultura. Sono interessato al confronto, ma non pretendo che la città o parte di essa condivida le mie scelte». Se il sindaco è così interessato al dialogo, forse darà una risposta perfino a voi. Anche se non occupate grattacieli e carreggiate. 

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