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La sinistra vuole farci spendere undici volte di più per gli asili

Se passa il referendum che cancella il finanziamento alle scuole paritarie il costo per i 1.736 posti ora coperti dai privati lieviterà da 600 a 6.900 euro
di Nicoletta Orlandi Posti venerdì 31 maggio 2013

3' di lettura

Il referendum per il finanziamento pubblico alle scuole dell’infanzia paritarie private sta mettendo in bilico, a Bologna, 1.600 famiglie. L’asse Sel-M5S-Rifondazione-Verdi  (a cui si aggiungono altri volti noti alla Guccini, alla Fo, alla Serra, alla Scamarcio) intende di fatto dirottare sul pubblico il milione di euro che il Comune annualmente stanzia ai privati convenzionati.  Risultato: se oggi quel milione di euro assicura 1.736 posti, grazie all’apporto degli stessi privati, nel caso in cui rimanesse al Comune i posti garantiti sarebbero solo 145. Solo un bambino su 10 potrebbe cioè accedere alle scuole. A costi enormemente superiori visto che per offrire il servizio con le sue uniche forze il pubblico dovrebbe pagare annualmente circa 6.900 euro a scolaro, contro i circa 600 che oggi bastano in base alle convenzioni, attive da 18 anni: circa 11 volte in più. Ma c’è di più. I referendari stanno creando un caso nazionale per una quota di finanziamenti che rappresenta il 2,9 per cento del totale.  Si tratta di una cifra minima, visto che - lo si apprende dal sito ufficiale - l’amministrazione annualmente investe 37,76 milioni di euro, di cui 35,5 per la scuola comunale, «un record in Italia» tengono a precisare da palazzo D’Accursio. E lo stesso centrodestra - unito al Pd in questo insolito asse anti-referendari - sembra convenire sul fatto che il sistema sia virtuoso. I dati delle liste d’attesa, del resto, parlano chiaro e mostrano che la convenzione procede - pur con dovute oscillazioni - verso «l’obiettivo azzeramento». Se infatti l’anno scorso le cosiddette «domande inevase» erano 465, a settembre se ne prevedono solo 221. Dati comunali. Da qui si capisce perché i referendari i numeri preferiscono metterli da parte.  Lo ha detto chiaramente il presidente onorario del comitato Articolo 33, Stefano Rodotà: «Non siamo di fronte a una questione contabile», piuttosto - secondo il giurista - è una «questione di principio». Un principio che rischia di avere come unico esito la riduzione dei posti, l’aumento delle rette, l’esclusione delle fasce più deboli, la mortificazione della libera scelta. Ma dietro questa insolita battaglia si cela anche una buona dose di laicità degenere, visto che su 27 scuole d’infanzia paritarie convenzionate, 25 sono cattoliche.   «Il referendum», spiega Roberto Gontero, presidente di Agesc (Associazione genitori scuole cattoliche) - ha assunto una valenza nazionale, essendo la situazione scolastica del capoluogo emiliano-romagnolo paradigmatica di quella delle più importanti città italiane. Mediamente, infatti, la scuola non statale in Italia assorbe ben il 40% della domanda di scuole materne (oltre 650mila bambini), data la carenza di strutture statali. Se venissero meno i finanziamenti statali o comunali alle scuole materne paritarie, come vorrebbero i referendari di Articolo 33 di Bologna, la situazione della scuola dell’infanzia italiana sarebbe ingestibile, lasciando migliaia di famiglie senza asili dove mandare i figli».  Contro il blocco dei fondi comunali alle paritarie si sono pronunciati non solo il primo cittadino di Bologna, Virginio Merola e gran parte delle forze politiche cittadine (Pd, Pdl, Lega Nord) ma anche il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, fino al sindaco di Firenze Matteo Renzi, per concludere con Romano Prodi. Nel fronte opposto, quello dei referendari che si battono per lo stop ai finanziamenti comunali alle materne private, spicca il giurista ex candidato dei 5 Stelle al Quirinale, Stefano Rodotà, il primo firmatario dell’appello del Comitato Articolo 33. Ma a dare voce alla causa dei referendari sono diverse personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della società civile. Tra queste: il fondatore di Emergency, Gino Strada, lo scrittore Andrea Camilleri, l’astrofisica Margherita Hack, l’attore Riccardo Scamarcio e il cantautore Francesco Guccini. Senza dimenticare, poi, il Movimento 5 Stelle ed il leader di Sel Nichi Vendola, il cui partito siede tra i banchi della maggioranza a Palazzo D’Accursio.  Domani  si vota. E ci sono gli ultimi botti elettorali.  Articolo 33, schierato per i blocco dei fondi alle materne private (opzione A) ha organizzato ieri sera un momento di festa in Piazza Maggiore, mentre oggi il «Crescentone» sarà occupato dai comitati che sostengono l’opzione B, quella per mantenere l’attuale sistema integrato tra pubblico e privato. Sempre oggi, poi, da piazza San Francesco partirà il corteo promosso dal sindacato Usb che ha sposato la causa dei referendari. di Filippo Manvuller

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