Clandestini portatori di tbcE poi si ammalano in Italia

La tubercolosi è generalmente in calo, ma crescono gli immigrati positivi al bacillo, che si attiva a causa delle loro pessime condizioni di vita
di Andrea Tempestinidomenica 21 luglio 2013
Clandestini portatori di tbcE poi si ammalano in Italia
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Allarme tubercolosi in Italia. Possibile? Certo è che l’immigrazione crescente di clandestini in arrivo dal nord Africa porta con sé il rischio, visto che la tbc è malattia facilmente trasmissibile. I dati parlano chiaro: centinaia di migliaia di persone sono risultate positive, negli ultimi anni, ai test che individuano il bacillo della tubercolosi. Il caso più recente è quello dell’area siracusana, dove l’Aipo (Associazione italiana di pneumologia) ha riscontrato 40mila casi di persone positive al cosiddetto test di Mantoux.  Non significa che siano malati, ma - semplificando - “portatori”, e dunque possono contrarla entro due anni.  È vero che,  stando ai dati del ministero della Salute, i casi conclamati  sono complessivamente diminuiti, ma sono in aumento le persone  potenzialmente a rischio di ammalarsi. Perlopiù, come detto, immigrati. Vediamo i numeri. Nel 2009 l’incidenza della malattia è stata di 7,07 casi ogni 100mila abitanti (corrispondenti, in termini assoluti, a poco più di 4.200 casi). Nel 2010 è di poco salita, 7,78 casi ogni 100mila abitanti (circa 4.700 casi di malattia). Tendenza sostanzialmente confermata nel 2011-12, con circa 7 casi ogni 100mila abitanti. L’incidenza si concentra in alcuni gruppi a rischio (immigrati, detenuti extracomunitari, detenuti HIV, tossicodipendenti) e in alcune classi di età. Nel 2009, i casi di tubercolosi notificati nella popolazione di nazionalità straniera sono stati 2.053, pari al 48,34% di tutte le notifiche. Nel 2010 son saliti a 2.284, cioè il 48,68%. Peraltro, sempre riguardo alla malattia conclamata, nell’ultimo quinquennio si osserva una riduzione del numero di casi di tbc in immigrati dall’Africa, mentre è in aumento nelle persone   provenienti  dall’est europeo. E per quanto riguarda gli immigrati all’interno dei centri di accoglienza, i cui dati sono forniti  dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute, ecco: tra gennaio e giugno 2013 su 1.151 persone malate i casi sospetti di tubercolosi sono stati 21, quando  a inizio 2011 erano 32. «In realtà - spiega Alessandra Diodati, direttore sanitario nazionale delle attività inerenti l’assistenza ai migranti e coordinatore nazionale di Croce Rossa Italiana per il progetto Praesidium  (che oltre a CRI vede coinvolti UNHCR, OMI e Save the children e che monitora i centri per garantire gli standard di accoglienza) -  nei centri non c’è aumento di tubercolosi conclamata. Semmai un incremento delle persone che già da tempo vivono in Italia e rischiano di ammalarsi. La malattia, infatti, si scatena in presenza di condizioni di vita precarie e poco agevoli. Il sistema immunitario cede, per cui la persona che era risultata positiva al test della Mantoux si ammala».  Altro che El Dorado, insomma. I clandestini vengono con la speranza di una vita migliore e si trovano a rischiare di ammalarsi gravemente, oltre che propagare la malattia. «Consideriamo anche - sottolinea Diodati - che spesso hanno difficoltà a rivolgersi ai medici. Vuoi per la lingua, vuoi perché hanno problemi a informarsi». D’altro canto l’avvocato Alberto Guariso di Naga, associazione milanese che si occupa dei diritti degli immigrati, chiarisce: «Ecco perché ci battiamo affinché anche chi non è regolare possa avere un servizio sanitario di base». Un medico di famiglia, insomma. Lo ha detto anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, qualche tempo fa  alla Conferenza dei prefetti: «Ci sono quattro milioni di stranieri in Italia e occorre favorire il loro accesso al servizio sanitario nazionale che trova barriere culturali e linguistiche». di Chiara Giannini