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Facci contro Vendola: vittima della sua stessa doppiezza

Il commento sulle risate al telefono di Nichi: "Chi è causa del suo male pianga sè stesso"
di Andrea Tempestini domenica 17 novembre 2013
Vendola Re della Casta. Di Benny

Vendola Re della Casta. Di Benny

2' di lettura

Chi è causa del suo Vendola pianga se stesso, anzi, pianga quell’altro, pianga il Vendola segreto che tresca al telefono e soprattutto si sganascia coi maledetti Riva, i signori delle acciaierie, quelli che secondo la vulgata hanno avvelenato Taranto dopo averle regalato un’economia. È spuntata un’intercettazione del 2010 in cui Vendola telefona a Girolamo Archinà (pr della famiglia Riva) e ostenta un cinismo che non ti saresti aspettato dal più smaliziato andreottiano. È il luglio 2010 e Vendola ha appena visto un video in cui un giornalista si avvicina al patron dell’Ilva e gli accenna ai «tanti morti per tumore» legati all’Ilva, dopodiché si vede un tizio che strappa letteralmente il microfono dalle mani del giornalista: è Girolamo Archinà, addetto alle relazioni istituzionali dell’azienda e, giustappunto, telefonista del compiaciuto Vendola: che «scatto felino» quell’Archinà - si complimenta il governatore - e che risate si è fatto a vedere il video, bravo Archinà, così si fa, e poi quel giornalista, insomma, «che faccia da provocatore». Ora: c’è da scandalizzarsi? È così grave che un politico rida in privato - crede - per una scena che nella sua demenzialità può effettivamente far ridere? No, non ci sarebbe da scandalizzarsi: ha riso di un microfono rubato con sfacciataggine, non di una corsia di oncologia. Il problema è la doppiezza vendoliana. Il problema è che il politico è appunto Nicola Vendola: è lui che negli anni si è costruito un’icona da macchietta della più lacrimevole indignazione esistenzial-politica, è lui che a fronte di comportamenti analoghi da parte di un avversario avrebbe piantato un casino e scagliato drammatici appelli contro l’arroganza padronale, contro il vilipendio della libertà di stampa, contro i vituperatori dell’ambiente,  varie e sinistroidi: tutto l’armamentario, insomma, regolarmente imbracciato nelle occasioni pubbliche e non intercettate, se possibile. Invece chi ti abbiamo? Eccoti uno sfuggente doroteo che suggerisce alla classe padronale di «stringere i denti», che definisce i giornalisti «improvvisatori senza arte né parte», che chiede di mandare ai Riva messaggi inequivocabili: «Dite loro che non mi sono defilato». No, Vendola non si defilerà: ne converranno i magistrati che lo accuseranno di concussione sostenendo che abbia fatto pressioni sull’agenzia per l’ambiente perché fosse morbida con l’Ilva, mentre lo strappatore di microfoni, Archinà, finirà direttamente in galera con accuse incredibili: tutto per un’inchiesta che puzza quanto Taranto, e che non va scagliata contro Vendola anche se lui lo farebbe subito contro chicchessia. È il Paese in cui un ministro fu costretto alle dimissioni per una battuta su Marco Biagi, questo, ma è anche il Paese di ipocrisie e voltafaccia impressionanti. Nelle ore in cui la telefonata di Vendola già circolava per il web, infatti, il medesimo tuonava contro il ministro Cancellieri e diceva che le sue telefonate «presentano un quadro di assoluta inopportunità». Doppiezza vendoliana e un quadro clinico inguaribile. Terminale, se non suonasse di cattivo gusto. di Filippo Facci

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