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Se per diventare prof non devi studiare le scrittrici donne (solo autori uomini, soprattutto passatelli)

di Francesco Specchia domenica 23 febbraio 2020

3' di lettura

Ne fosse saltata fuori una. Una. Una sola voce dissidente delle pari opportunità, una del Mee too, una Dem qualunque di quelle che scoccano l’accusa di sessismo perfino su Amadeus prima di Sanremo. Ne avessi vista una, delle mille Susan Sontag che affollano la nostra politica, levatasi oggi ed attaccare il nuovo concorso per docenti che trasuda maschilismo da ogni poro letterario. Accade questo. Sono appena usciti i programmi per i prossimi concorsi per docenti di italiano. In quel testo è, in sostanza, contenuta una lista di autori che è meglio conoscere per poter insegnare la letteratura italiana. Si tratta di scrittori rilevantissimi ai fini della docenza e della discenza, dell’insegnamento e dell’apprendimento; nomi, storie e bibliografie che sarebbe bene approfondire per poter esercitare il sacro mestiere del magister. Ho parlato di “scrittori”. Perché, in realtà di scrittrici a cui abbeverarsi, in quella lista, ce n’è una sola su 41 colleghi maschi. Elsa Morante, una sorta di Giovanna d’Arco bibliografica che s’erge del rogo del politicamente scorretto. L’indicazione del testo ministeriale è chiara: “Al candidato si richiede, pertanto, la capacità di elaborare percorsi didattici finalizzati allo sviluppo di competenze storico-interpretative di testi significativi di varia epoca, riferibili ai diversi generi letterari rappresentati da autori quali: Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Machiavelli, Guicciardini, Tasso, Galilei, Goldoni, Parini, Alfieri, Foscolo, Leopardi, Belli, Porta, Manzoni, Verga, Carducci, Pascoli, D'Annunzio, Pirandello, Svevo, Ungaretti, Sbarbaro, Montale, Saba, Campana, Quasimodo, Sereni, Pavese, Vittorini, Morante, Primo Levi, Gadda, Calvino, Fenoglio, Moravia, Sciascia, Caproni, Luzi, Zanzotto e Pasolini”. Ma anche -ci mancherebbe- qualche straniero “Shakespeare, Cervantes, Goethe, Baudelaire, Joyce, Proust e Kafka”. Donne, solo la suddetta Morante. Una indicazione perlomeno sgraziata. Ad accorgersi della mortificazione che le istituzioni fanno della nostra letteratura al femminile è Enrico Galiano, scrittore ed insegnante, il quale dalle pagine della rivista Il Libraio denuncia che “le donne sono quelle che studiano di più eppure molto spesso sono quelle che vengono studiate di meno. Ascoltate di meno. Valorizzate di meno”. Galiano articola tre argomentazioni tecniche, che non fanno una grinza. La prima è che rasenti l’osceno ignorare nella produzione letteraria italiana giganti come Grazia Deledda, Matilde Serao, Antonia Pozzi, Dacia Maraini, Anna Banti, Anna Maria Ortese, Alda Merini, Fernanda Pivano, Oriana Fallaci (quest’ultime, poi, due latrici di apporto essenziale anche al giornalismo culturale italiano) Natalia Ginzburg, Elena Ferrante: tutte assai più che “rilevanti” nell’ambito dell’insegnamento. E io aggiungerei alla lista anche ousider come anche Romana Petri, grande italiana considerata una sorta di piccolo mito in Portogallo e Lalla Romano, Premio Strega 1969 protetta di Montale. La seconda argomentazione, più romantica, è che “uno dei temi più importanti che si affrontano a scuola è il tema dell’amore, e con questo quadro di autori quello che i ragazzi leggeranno e impareranno è solo l’amore visto con gli occhi degli uomini” (e, detto fra noi, se la si guarda solo dalla parte degli uomini, per paradosso, anche cosiddetta letteratura omosessuale -quasi tutta al maschile- diventerebbe una discriminante). Il terzo motivo di stizza è che, alla fine della fiera, noi continuiamo ad esser un paese “maschiocentrico in un universo in cui le donne non mancano, ci mancherebbe: togli quelle e non avresti né Divina commedia, né Decameron, né Canzoniere, sparirebbe nel nulla D’Annunzio, di Foscolo rimarrebbe ben poco. No, le donne non mancano: manca la loro voce”. Ha ragione. Con questa disposizione, questo testo asettico mozzato da qualsiasi pudore paritario, oserei dire che si cancella più di un secolo di lotta per la parità di genere. M’immagino cosa ne penserebbe la prima grande scrittrice femminile -al contempo femminista- italiana, Sibilla Aleramo che nel 1906 pubblicò Una donna, caposaldo della materia ispirato direttamente alla Casa di bambola di Ibsen e lodata da Pascoli e Pirandello (peraltro per formazione abbastanza maschilisti). Mi piacerebbe ascoltare, in merito, anche il parere di Elisabetta Sgarbi della Nave di Teseo, probabilmente, in questo momento, l’editrice più illuminata sulla piazza. E non ho avvertito neanche un sussulto da Lilli Gruber, autrice dell’abbastanza icastico Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone (Solferino). Ma, il più lancinante urlo alla Luna, la più feroce reprimenda su questo strano caso me lo sarei aspettata da Lucia Azzolina. Mi pare sia Ministro delle Pubblica Istruzione, o no?... di Francesco Specchia

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