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Ernesto Diotallevi, l'uomo che visse due volte

di Giulio Bucchi sabato 22 dicembre 2018
3' di lettura

Ernesto Diotallevi, ovvero l’uomo che visse due volte. Forse non tutti sanno che Diotallevi, ex mozzo al Mattatoio di Testaccio, è uno dei pochi superstiti di un mondo, quello della criminalità organizzata romana, spesso dato in via d’estinzione. Libri e ordinanze della magistratura lo hanno dipinto come “il punto di incontro” tra gli interessi della famigerata “Banda della Magliana” e la mafia siciliana trapiantata a Roma con il boss in incognito Pippo Calò. Negli anni ’70, quando nella città eterna si girava armati anche fuori dalle scuole, Diotallevi ha ricevuto persino il proprio necrologio, senza entrare nella bara. Tutt’altro. Quando giovedì 6 dicembre i finanzieri gli hanno notificato l’ennesimo atto, stavolta definitivo poiché confermato dalla sentenza della II Sezione penale della corte di Cassazione, di confisca del suo “tesoro” accumulato in un trentennio di carriera (da cui il nome dell’operazione “Trent’anni”, ndr), Diotallevi ha potuto sfogliarlo nel suo salotto con vista mozzafiato su Fontana di Trevi. Quattordici vani di un immobile che, tra vari tira e molla da parte della magistratura, ha potuto conservare fino a ieri e che almeno simbolicamente ne fanno l’ultimo “re” della Capitale ancora in pista, vista l’assenza di personaggi di spicco come Massimo Carminati o Michele Senese, reclusi nelle carceri nazionali. Ma torniamo alla sua “prima” ed efferata dipartita. A mezzanotte del 29 dicembre 1972, Diotallevi muore ufficialmente, con tanto di necrologio apparso l’indomani sui giornali, allorché viene rinvenuto un cadavere crivellato di colpi, all’incrocio tra viale Pilsudski e via Guidobaldo Del Monte ai Parioli, all’interno di una Citroen a lui intestata. In realtà “Ernestino er negro”, come era soprannominato per via della carnagione olivastra, era sì il proprietario della vettura ma, come spiegherà agli inquirenti, proprio quella sera l’aveva prestata a un amico, il 31enne Carlo Faiella, già allora “pezzo da novanta della mala internazionale, legato a Cosa Nostra” come racconta in “Impronte criminali” il magistrato Otello Lupacchini, attuale procuratore generale di Catanzaro, che nella maxi “Operazione Colosseo” del ’94 lo aveva fatto rinviare a giudizio, insieme a una sessantina di presunti associati della “bandaccia” della Magliana e delle batterie affiliate. Come altri, Diotallevi fu poi assolto nel ‘96 anche se le cronache hanno continuato a parlare di lui. Da ultimo, lo scorso luglio, in un processo stralcio di “Mafia capitale” che lo ha visto rinviato a giudizio per intestazione fittizia di beni, per una vicenda di truffe immobiliari. Eppure, sino ad oggi, mai Diotallevi era stato toccato così da vicino nell’ingente e in parte celato patrimonio famigliare. Che include ben 43 unità immobiliari sparse tra la Capitale, Gradara (PU) e la Sardegna; 8 società operanti nel settore della compravendita di immobili, della costruzione di imbarcazioni, del commercio di energia elettrica, dei trasporti marittimi e delle holding, tra cui una società liberiana, titolare di una lussuosa villa sull’Isola di Cavallo in Corsica; macchine di lusso e una Harley Davidson intestata a uno dei figli; depositi bancari e polizze vita, oltre a un complesso turistico composto da villette a schiera, fronte mare, nella splendida cornice di Olbia. Per un valore complessivo di 25 milioni di euro, secondo la stima del Gico (Gruppo investigazione criminalità organizzata) del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Roma, che ha agito su delega della Direzione distrettuale Antimafia capitolina, le cui indagini hanno consentito di documentare come Diotallevi “sebbene assolto dalla Corte d’Assise di Roma nel 1996, nell’ambito del noto “processo alla banda della Magliana”, nonché da plurime accuse di omicidio (tra le altre quella per la morte del banchiere Roberto Calvi), fosse riuscito ad accumulare ingenti fortune, nonostante l’assoluta carenza di fonti di reddito lecite, talora riconducendo la formale titolarità dei beni a compiacenti prestanome”. La confisca del 6 dicembre giunge al termine di un complesso iter che ha portato la posizione di Diotallevi, con alterne fortune, al vaglio di tutti i gradi di giudizio sino alla Corte di Cassazione. Che, a gennaio 2018, ha annullato il decreto con cui la Corte di Appello, a maggio 2017, aveva disposto, in riforma della decisione del Tribunale risalente a gennaio 2015, la revoca parziale della confisca, riconoscendo a Diotallevi la “pericolosità qualificata” in determinati periodi storici, ma escludendola in altri più recenti. Per un uomo già dato per spacciato una volta, non c’è di che sorprendersi. di Beatrice Nencha

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