Muore d'infarto per troppo lavoro: azienda condannata

La Cassazione conferma il risarcimento ai familiari di un dirigente
di Matteo Legnanidomenica 11 maggio 2014
Muore d'infarto per troppo lavoro: azienda condannata
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Il datore di lavoro è responsabile se il dipendente muore di infarto a causa dell’eccessivo carico di lavoro a cui è stato sottoposto. Lo ha sancito la Cassazione, confermando la responsabilità di una nota azienda di telecomunicazioni, che dovrà dunque risarcire con oltre 850mila euro i familiari - la vedova e una figlia minorenne - di un dirigente morto di infarto. La sezione lavoro della Suprema Corte ha infatti rigettato il ricorso della società contro la sentenza con cui la Corte d’appello di Roma, ribaltando il verdetto emesso dal giudice di primo grado, aveva stabilito il risarcimento danni per i familiari dell’uomo. Egli svolgeva mansioni di quadro nella società e, negli ultimi mesi di lavoro si era trovato ad operare - aveva denunciato la famiglia - in "condizioni di straordinario aggravio fisico": l’attività lavorativa "si era intensificata fino a raggiungere ritmi insostenibili", con una media di "circa 11 ore giornaliere" e con il "protrarsi dell’attività a casa e fino a tarda sera". Il datore di lavoro si era invece difeso davanti alla Corte rilevando che tali ritmi "serratissimi" erano dovuti soltanto alla "attitudine" del dipendente "a sostenere e a lavorare con grande impegno" e al suo "coinvolgimento intellettuale ed emotivo nella realizzazione degli obiettivi". L’azienda si era detta ignara delle "modalità" con cui l’uomo "esplicava la sua attività lavorativa", dato che egli non aveva "mai espresso doglianze o manifestato disagi fisici". I giudici di piazza Cavour non hanno affatto condiviso le tesi dell’azienda. "La responsabilità del modello organizzativo e della distribuzione del lavoro - si legge nella sentenza - fa carico alla società, la quale non può sottrarsi agli addebiti per gli effetti lesivi dell’integrità fisica e morale dei lavoratori che possano derivare dall’inadeguatezza del modello adducendo l’assenza di doglianze mosse dai dipendenti o, addirittura, sostenendo di ignorare le particolari condizioni di lavoro in cui le mansioni affidate ai lavoratori vengono in concreto svolte".