Mafia e gay, il pm a Klaus Davi: "I boss in carcere si mandano lettere con cuoricini"

di Luca Di Martinodomenica 20 luglio 2014
Mafia e gay, il pm a Klaus Davi: "I boss in carcere si mandano lettere con cuoricini"
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Non è più un tabù essere mafiosi e gay. E' la conclusione dell'inchiesta condotta da Klaus Davi insieme al pm antimafia della Procura di Caltanissetta, Lia Sava, che rivela come la mafia stia cambiando identità e si stia evolvendo, sconvolgendo gli assetti tradizionali della struttura mafiosa. La conversazione-intervista tra i due sfocerà anche in un libro che riprenderà tutti i cambiamenti che stanno investendo Cosa Nostra, compreso l'omosessualità tra i "picciotti" ma anche fra i boss. Forma e sostanza - "Cosa Nostra è ancora una struttura iper-maschilista?", chiede Davi al pm antimafia, il quale risponde: "Io credo che in Cosa Nostra bisogna distinguere tra forma e sostanza. Come all'interno dell'organizzazione esistono formalmente regole rigide da riconoscere, allo stesso tempo queste non vengono rispettare interamente. Per esempio, due regole basilari: i mafiosi non devono avere amanti, eppure sappiamo che ne hanno continuamente. Donne e bambini non devono mai essere uccisi, tuttavia si sono sempre uccisi donne e bambini. Queste regole devono essere riconosciute, ma non sempre rispettate: vale a dire che la l'azione si svincola dall'etica. Nella struttura di Cosa Nostra l'omosessualità era da sempre malvista. Non dovevano verificarsi relazioni omosessuali. I boss potevano intuirlo, ma non capirlo palesemente perché a quel punto...". modernità ed evoluzione - Tuttavia le cose stanno cambiando, rivela il pm Sava. "Mi è capitato di osservare, cosa che mi ha incuriosito, delle lettere fra carcerati di mafia, maschi, appartenenti alle generazioni più giovani, che scrivono l'uno all'altro con delle espressioni particolarmente affettuose". Sia chiaro, sono episodi circoscritti, non tutta la mafia sta diventando rose e cuoricini. Però, questi indizi preziosi, potrebbero richiamare il discorso omosessuale, e dimostrare che il tabù dell'omosessualità, come dice Sava, l'organizzazione mafiosa non se lo ponga più. L'importante, ricorda il pm, è che "la notizia non raggiunga i capi. Questi possono intuirla, non averne apprenderla interamente". Falsa etica - Secondo Lia Sava queste trasformazioni radicali non devono provocare scalpore perché, detto con le sue parole, "i costumi si evolvono: Riina, nato nel '31, ragionava in un certo modo e percepiva le cose diversamente da come le percepisce invece un boss giovane". Rosalba Di Gregorio, l'avvocato storico di Provenzano, tempo fa aveva dichiarato: "Non mi stupirei se scoprissimo che un capo mafia sia iscritto all'Arcigay". Concetto che rimanda alla falsa etica della struttura mafiosa che, appunto perché falsa, viene trasgredita facilmente, come la religiosità.