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Sea Watch 3, uno scandalo italiano: retroscena, processo alla GdF pur di assolvere Carola Rackete

di Davide Locano domenica 7 luglio 2019

3' di lettura

Dice il giudice: Carola aveva il dovere di attraccare a Lampedusa, poco importa se ha urtato una nave della Guardia di Finanza. Da qui la domanda: ma se la Sea Watch avesse distrutto la motovedetta della Gdf, avrebbe comunque agito nell' adempimento di un dovere? È questo uno degli interrogativi aperti dall' ordinanza grazie alla quale la Rackete è stata rimessa in libertà martedì sera. Un trionfo per la ragazza tedesca che, senza offesa per la Procura di Agrigento, non sarebbe potuto essere più completo neanche se l' atto l' avesse scritto direttamente Gino Strada. OSSERVAZIONI Qualsiasi violazione abbia commesso la capitana, ha rilevato il Gip Alessandra Vella, passa in secondo piano rispetto all' esigenza di trasportare i clandestini-naufraghi a terra il prima possibile. Anche colpendo altre navi. Per il magistrato, peraltro, l' incidente è stato una cosa da poco: bisogna guardare i filmati e ribaltare completamente la prospettiva. Bisogna, insomma, prendere per valida solo la ricostruzione della signora, ignorando le accuse dei finanzieri che lamentano di aver rischiato la pelle. Leggi anche: Sea Watch 3, Carola Rackete ci sfotte con gli albatros È vero, si legge nel documento, la Sea Watch ha centrato l' altra barca e l' ha schiacciata contro la banchina, ma la nave doveva completare la sua missione con urgenza perché a bordo la situazione era disperata (un fatto tutto da dimostrare, visto che la Corte Europea per i Diritti dell' Uomo pochi giorni prima aveva sancito l' opposto). Saremmo quindi in una zona di non punibilità. Ne deduciamo che, sempre secondo la Procura, sono gli uomini delle Fiamme Gialle che sistemandosi in quel punto del porto stavano impedendo all' equipaggio della Ong di fare ciò che doveva. Avrebbero dovuto capire la gravità della situazione e la superiorità delle leggi che guidavano la condotta dei volontari delle Ong e levarsi di torno. Infine sorge un altro problema: seguendo la logica giuridica sottesa al provvedimento, visto che l' arresto di Carola è stato dichiarato illegittimo, sarebbe stato necessario indagare gli agenti della Finanza per aver fermato la donna e per falsa testimonianza. Per fortuna, non siamo arrivati a tanto. IL CASO TUNISIA Un'altra considerazione fatta dal Gip che non potrà piacere al Viminale riguarda la Tunisia. Il giudice sposa al cento per cento la linea delle Ong: è vero che i migranti sono stati soccorsi in un punto molto più vicino al paese nordafricano rispetto a Lampedusa, ma i porti sotto il controllo di Tunisi non sarebbero sicuri. Il tutto deciso da uno stanzino del palazzo di Giustizia di Agrigento. Certo, stiamo parlando di località marittime dove otto milioni di turisti da tutto il mondo passano le ferie ogni anno. E tra questi viaggiatori ci sono almeno due milioni di italiani. Se davvero le cose stessero come sostiene la toga siciliana, bisognerebbe immediatamente allertare i villeggianti e predisporre un ponte aereo per riportarli rapidamente da questa parte del Mediterraneo. Si rischia la vita. Il problema della Tunisia, secondo il magistrato, è che "non prevede una normativa a tutela dei rifugiati, quanto al diritto di asilo politico". Osservazione curiosa e inquietante: sono pochi i Paesi sul Mediterraneo che hanno una legislazione per la tutela dei profughi avanzata quanto quella italiana. Per non parlare dell' Africa e del resto del mondo. Rischiamo di diventare l' unico approdo sicuro per mezzo pianeta. di Lorenzo Mottola

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