Beccati altri 81 assenteistiMa si tengono il loro lavoro
All'istituto case popolari di Messina irregolarità dall'85% dei dipendenti. Negli ultimi mesi un'infinità di casi, non solo al sud
di Andrea Scaglia «Un problema che si mantiene stabile verso il basso a livelli fisiologici»: così neanche un mese fa parlava d'assenteismo il tecnicissimo ministro della Pubblica Amministrazione Patroni Griffi, con un'acrobazia sintattica di sapore socio-farmacologico che per la verità un po' ricorda il mitico «sono completamente d'accordo a metà col mister» dei primi Gialappa's. E comunque, tutto sta a intendersi: a qual punto della scala si pone allora quest'ultima sconcertante vicenda messinese? È emersa in seguito a un'indagine della Finanza, che ha controllato come si lavora all'istituto autonomo case popolari del capoluogo etneo, anche piazzando telecamere agli ingressi. E dunque ecco: su un totale di 96 dipendenti (pubblici), addirittura 81 - l'85%! - erano abituati a entrare e uscire dall'ufficio - più uscire che entrare - senz'alcuna preoccupazione per orari e mansioni e quant'altro. Assenteismo di massa. E cioè, per capirci: a piccoli gruppi si mettevano d'accordo fra loro, poi uno (a turno) a timbrare tutti i cartellini e gli altri a farsi i fattacci propri - spesa, commissioni, interi pomeriggi al bar, gite fuori porta, altre occupazioni non identificate. Complessivamente circa 1.500 ore di assenze ingiustificate - e attenzione, ché la Finanza era soltanto un mese che indagava. Penalmente parlando, l'accusa è truffa ai danni dello Stato: in quattro si son beccati l'arresto domiciliare, mentre per 54 è stato invece disposto l'obbligo di firma. Un provvedimento, quest'ultimo, che invero suona quasi paradossale. Nel senso che i furbetti in questione dovranno siglare l'apposito foglio in caserma all'inizio e alla fine dell'orario di lavoro, e al di là della barbina figuraccia da liceale indisciplinato continueranno comunque a godere di impiego e relativo salario. Che va bene, prima ci vuole il processo e la sentenza e il licenziamento arriverà eventualmente in caso di condanna (oltre a una pena fra uno e cinque anni di reclusione). Ma insomma, dando merito agli eroici 15-impiegati-15 che invece hanno lavorato e lavorano come si deve - mai fare d'ogni erba un fascio - ragionevolezza vorrebbe che, d'altro canto, chi s'intasca senza far nulla o quasi i soldi pubblici, magari potrebbe addirittura essere sospeso, o no? E se da una parte ci si può immaginare che, per soggetti del genere, la vera condanna sia dover lavorare, d'altronde ci rendiamo conto: un discorso del genere potrebbe in breve tempo mettere in ginocchio l'intera struttura dell'amministrazione pubblica italica, a cominciare dal Parlamento - e scusate, è vero, siamo scivolati sulla classica deriva demagogica e populista, ma tant'è. Peraltro, sulla suddetta questione - sospensione dal lavoro o no - anche gli stessi giudici non si dimostrano d'accordo. In che senso? Neanche un mese la Procura di Modica - povera Sicilia... - ha chiuso un'inchiesta sull'assenteismo in Comune: consueta casistica tragicomica - impiegati che manomettevano l'orologio marca tempo, altri che andavano a trovare gli amici o accudivano i figli, addirittura uno che piuttosto che lavorare passava ore e ore in macchina ad ascoltar musica - e ben 106 richieste di rinvio a giudizio. Per 86 indagati, il procuratore ha chiesto - e l'aveva già fatto nel maggio 2011 - gli arresti domiciliari e la sospensione dell'esercizio di pubblico servizio. Niente, il gip ha rigettato le richieste. Assenteisti sì, ma licenziati mai. Tornando poi all'«assenteismo fisiologico» by Patroni Griffi, e facendo una sommaria ricerca sugli episodi circoscritti alla pubblica amministrazione, oltretutto limitandola agli ultimi casi eclatanti, ecco, si rimane basiti. Per dire, oltre a Messina e Modica: il 19 novembre cinque arresti a Foggia - una psicologa, due impiegati e due infermieri della Asl. In ottobre la faccenda degli spazzini di Castellamare di Stabia, con 19 lavoratori della società addetta ai servizi ambientali assenti ingiustificati per oltre 23mila ore - e secondo il calcolo azzardato ma evocativo della Procura, un loro caffè è costato alla collettività circa un milione di euro. E sempre in ottobre i 21 assenteisti indagati presso l'Azienda sanitaria di Vibo Valentia. E pochi giorni prima gli undici dipendenti comunali arrestati a Pedace, nel Cosentino - fra i quali anche il capo dei vigili - identificati dopo le segnalazioni dei cittadini esasperati dalle lunghe e infruttuose attese e le innumerevoli pratiche inevase. E ancora, i 13 indagati dell'ufficio del garante per la tutela dei diritti dei detenuti in Sicilia. E i 45 dipendenti del Comune di Taranto sotto inchiesta, sempre per assenteismo. E ripetiamo, questo solo limitandosi ai casi più clamorosi degli ultimi mesi. Ma attenzione anche ai luoghi comuni. Perché se è vero che al Sud il problema ha raggiunto livelli non più sopportabili, non è che il Nord ne sia immune. Giusto lo scorso settembre, 40 dipendenti della Direzione e delle sovrintendenze per i beni culturali del Friuli Venezia Giulia sono stati iscritti nel fatal registro - e le accuse per gli assenteisti sono sempre quelle, truffa aggravata ai danni dello Stato e falso materiale in atto pubblico. E poi c'è la storia dei professori fantasma dell'Università di Genova, denunciati dagli stessi studenti sconcertati dalle cattedre incustodite e su cui la Corte dei Conti ha aperto un fascicolo. Fino alla vicenda di Rovigo, dove prima dell'estate la Procura ha chiesto 77 rinvii a giudizio per altrettanti dipendenti della Regione Veneto - nella sede cittadini in tutto sono 115 - che aggiravano cartellini e orari per sbrigare le loro personali faccende in orario pubblicamente retribuito. Proprio come i loro colleghi messinesi e foggiani e campani. Evviva l'Italia unita.