Macché colpa della stampaL'Italia che non si indignaè fondata sull'invidia
Il Paese è ostaggio di faziosità e odio di classe: ecco perché nessuno insorge per le manette a un cronista berlusconiano con una bella casa
Di Maria Giovanna Maglie Ma se per i marò, caro Massimo de' Manzoni, non si volta indietro nessuno, nessuno protesta contro il governo, nessuno fa un fischio al presidente della Repubblica, anzi incontri facilmente volontari disposti a spiegarti che la storia è tutta un'altra, che qualcosa di male devono aver fatto, e son passati quasi dieci mesi di prigionia illegale in India, vuoi che gliene freghi qualcosa della battaglia di libertà di Sallusti, che si immaginano addirittura negli ozi e i lussi di casa Santanchè, dunque già per questo degno di condanna e vituperio? Perché noi giornalisti, vil razza dannata per carità, dovremmo prenderci la colpa anche di questa volgare e nazionalmente spalmata indifferenza? Mi sono stufata, se devo avere delle colpe voglio almeno dividerle col resto dell'italica razza, quella immarcescibile per la quale piove sempre per colpa del governo ladro, quella che fa le corna all'automobilista che lo ha appena superato e intanto passa col rosso, quella che si indigna col povero Polillo che dice che i tedeschi lavorano di più mentre timbra il cartellino e subito esce a fare la spesa. Quella che il denaro è sempre sospetto, è sempre sterco del demonio, e tra qualche mese vedrete come la canteranno questa filastrocca. De' Manzoni cerca ragionevolmente e generosamente responsabilità, che certo ci sono, e lui le elenca tutte nell'articolo di martedì, all'indifferenza per le sorti dei giornalisti. Per me è vero che i giornali a caccia di copie da vendere hanno acriticamente abbracciato la campagna contro la casta, e ora pagano il nuovo clima di odio sociale indistinto. I giornali di area laica e di destra hanno altresì tardato a denunciare le troppe magagne del governo e della maggioranza, anche se in parte costretti dalla faziosità dei giornaloni del centrosinistra. Ma questo non mi basta a spiegare la barbarie. Se invece non ci fosse niente da fare, se a noi italiani chiunque sia rigoroso se non eroico susciti un senso pruriginoso di fastidio, se la pratica della lamentela e della responsabilità da attribuire sempre a qualcun altro fosse il vero cemento nazionale, se questo fosse un Paese e un popolo irredimibile? Penso da ormai un po' di tempo che sia così, e che sia una pratica legata non solo alla non abbastanza antica storia di unità, e unità coatta; non solo alla recente storia di ultima divisione tra guelfi e ghibellini, peggio, tra buoni per sempre e cattivi in eterno che è poi la storia del fascismo e dell'antifascismo; non solo alla recentissima storiaccia delle Mani Pulite e della fine infame della prima Repubblica; non solo alle vicende di oggi altrettanto brutte nella contrapposizione fra caste, e fra casta e fuoricasta; ma, insieme a tutte queste cose, forse per il concorso e la somma di tutte queste cose, penso che sia la nostra realtà nazionale, che naturalmente in momenti di crisi quale l'attuale mostra il suo volto peggiore. Certo, in principio fu l'unità forzata che il Sud borbonico contesta e detesta 150 anni dopo quanto il Nord, anche se con strumenti organizzativi diversi. Seguì la retorica della Resistenza, gli eroici partigiani moltiplicatisi per mille a guerra vinta dagli alleati, il cui predominio ancora oggi ci affligge. Si distinse il '68, altro spartiacque fra cittadini di serie b ed elite a cui molto è permesso e che si è piazzata alla grande, un '68 che solo da noi non è finito mai invece di durare pochi mesi. La fine cruenta della Prima Repubblica, schiavettoni, suicidi, monetine, i comunisti che cambiano nome invece che pelle, che non ce la fanno a vincere perché arriva uno con le idee, i soldi e la disperazione e li sfida, ha incancrenito il clima di contrapposizione e l'odio di classe, quella faziosità che impedisce anche oggi di far politica come si fa nel resto del mondo. Certo, educazione civica a scuola zero, in famiglia meno che meno. Lo chiamano individualismo esasperato, che è una falsità enorme, magari fossimo individualisti nel senso dell'ambizione da onorare, del merito da riconoscere. Invece gli italiani firmano continue e pesanti deleghe e cambiali in bianco, dal padrone di casa alla banca al parlamentare al sindaco al governo, firmano direttamente o attraverso i tutori che si possono chiamare sindacato, partito, corporazione, ma anche mafia, e si disinteressano, perché aspettano che il moloch dal quale tutto dipende, restituisca le tutele desiderate. Una frase come quella famosa di John Kennedy «non chiederti che cosa può fare lo Stato per te ma che cosa puoi fare tu per lo Stato», verrebbe accolta da sonore pernacchie. Deleghe di questo livello non possono che produrre la classe politica scarsa che ci affligge, i giornali mediocri che produciamo, anche perché editori impuri e assistiti come quelli italiani sono rari da trovare nel panorama mondiale. Avvolti da questa nube mefitica, cresciuti a questa barbarie che tanto gli piace, gli italiani hanno, lo ripeto, in fastidio supremo le azioni nobili. Non ci credono, cercano la retro spiegazione, fiutano l'imbroglio. Ora si sono in grande maggioranza imbevuti del sangue fresco della casta dei politici da mettere al rogo, dimenticando così ancora una volta da quali altre caste vengano le resistenze a qualsiasi riforma di libertà. Stiamo a fare le tricoteuses intorno alla ghigliottina, aspettiamo il prossimo condannato tremante e implorante, e Sallusti si presenta a muso duro chiedendo la galera? Gli si tagli almeno la testa.