E i deputati ammettono: odiamo i giornalisti
«Sono loro la Casta, vogliono l'impunità, ci ricattano». Ecco come il Parlamento prepara la legge sulla diffamazione
Il clima, più adatto ai giorni tragici della Bosnia, che a un consesso parlamentare, si era intuito in commissione giustizia del Senato quando è arrivato il testo di legge sulla diffamazione: la cosiddetta salva-Sallusti. In aula la guerra è esplosa, anche se c'è ancora chi prova a cercare una soluzione prescindendo da situazioni personali o da risentimenti di categoria, come il Pdl Filippo Berselli, i Pd Vincenzo Vita e Vannino Chiti, e i capigruppo di Pdl (Maurizio Gasparri) e Pd (Anna Finocchiaro). Grazie a loro fino a tarda sera ieri si sono cercati compromessi meno punitivi per la libertà di espressione che oggi verranno formalizzati in aula. Ma la stragrande maggioranza dei senatori ha colto ieri - quando il dibattito è arrivato in aula al Senato - l'occasione della legge sulla diffamazione per un frontale pieno di acidità fra una casta (dei politici) e un'altra (dei giornalisti). Ecco alcune perle del sereno dibattito... Antonino Caruso (Pdl). «La Casta - la vera Casta! - che è quella dei giornalisti, così reagisce ad un'iniziativa legislativa che sembrerebbe avere il torto, eliminando il rischio della galera, di non assicurare tuttavia a chi ne fa parte l'impunità totale (…) Sarei curioso di conoscere l'opinione, sul punto, del collega presidente D'Alia, destinatario - proprio nei giorni scorsi - di un'aggressione a freddo (chissà se casuale e disinteressata?) da parte di un quotidiano una volta assai autorevole, cui ha avuto l'ingenua puntigliosità di voler replicare rappresentando fatti oggettivi, con il non felice risultato di incassare un ulteriore gancio al mento, senza possibilità di ulteriore replica». Fabrizio Morri (Pd): «Questa impunità e questa pretesa di poter diffamare persone o istituzioni, aggiungo io, vanno criticate. Cosa facciamo, dal codice penale togliamo anche l'istigazione all'odio? Nella vicenda Sallusti, per me, anche se non sono un magistrato, c'era anche il reato di istigazione all'odio. Dunque, per i giornalisti vogliamo togliere anche l'istigazione all'odio? Se un tifoso va in curva e scrive che Conte deve andare in galera o Mazzarri chissà cosa, ci sono pene severe e interdizione dagli stadi. Per chi lo fa nel mondo della carta stampata può vigere uno status diverso?». Alessio Butti (Pdl): «Qualche giornalista (fortunatamente una netta minoranza) dice al legislatore di fare attenzione, perché, se le cose non vanno in questo modo, sarà guerra mediatica. Questo è il ricatto che stiamo vivendo (…)Va detto che alcuni giornalisti hanno acquisito un potere straordinario, che esercitano con disinvoltura, direi a volte anche con spregiudicatezza e spesso senza garantire un pacifico confronto. Ospiti ai talk show, li ascoltiamo discettare su materie importanti, spesso senza cognizione di causa; sentenziano con protagonismo e senza appello, disinformati spesso in buona fede e spesso in malafede. Questo non va bene». Alberto Maritati (Pd). «Qui c'è una sfida di chi, pur potendo ricorrere a strumenti leciti per evitare il carcere, sfida, appunto, le istituzioni e la magistratura, attacca, aggredisce e parla male di tutti, sentendosi immune, sentendosi difeso, non so da cosa (io dico: dall'equivoco che si voglia ledere il diritto alla libertà di stampa, che qui non c'entra nulla)». Lucio Malan (Pdl): «Un tempo credo che fosse evidente come per offesa ad un corpo politico, ad esempio il Parlamento, si intendesse l'accusa di aver violato le regole democratiche o magari di avere approvato leggi sbagliate. Oggi tale offesa consiste del parlare di quanto si guadagna, delle indennità, dei rimborsi e quant'altro. Allora, la trasparenza, che in Italia è superiore a quella di qualunque altro Paese, è doverosa, ma quando si trasforma in menzogna deve essere chiaro, e ho proposto un emendamento che lo sancisce, che si tratta di diffamazione di un organo politico ovvero amministrativo. Vogliamo respingere questo concetto? Benissimo. Allora avremo la totale incertezza del diritto e l'unica certezza per un giornalista sarà che può, se è fortunato, restare del tutto impunito». di Franco Bechis