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Non scordate il vero G8: tre giorni di guerra black bloc

Genova devastata, pietre ed estintori contro i poliziotti, terrore diffuso: eppure l'evento del 2001 rischia di passare alla storia solo per le violenze alla Diaz con la condanna degli agenti

Giulio Bucchi
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La verità processuale che si traduce nella condanna in via definitiva per 25 agenti e nella decapitazione dei migliori uomini della polizia di Stato. Ma anche la verità storica: quella di Genova che in quelle settantadue ore di luglio 2001 fu messa a ferro e fuoco da migliaia di criminali rimasti impuniti. È questa la realtà assoluta, che però con la cosiddetta sentenza Diaz, rischia di essere non soltanto dimenticata ma addirittura negata. Cancellata con un colpo di spugna. Come se il G8 di Genova sia da ridurre solo ed esclusivamente ai fatti (seppur raccapriccianti e innegabili) degli agenti picchiatori che fecero irruzione nella scuola per punire alla cieca, nel mucchio, senza fare distinzione fra manifestanti e devastatori.  Qui non s'intende minimizzare o non ammettere la gravità di quegli episodi, né tantomeno omettere la falsificazione delle prove da parte dei poliziotti nel tentativo maldestro di occultare o sminuire i pestaggi, con tanto di molotov posizionate a tradimento dentro la scuola. Si vuole semmai ricordare che il G8 di Genova è e resta una pagina della storia che racconta di una guerra vera. Una guerra urbana scatenata da migliaia di delinquenti, mascherati da passamontagna e bende nere, scesi in piazza armati di spranghe e bombe e pietre ed estintori con l'intento preciso e  riuscito di distruggere una città e dare addosso alle forze dell'ordine intervenute a difendere i suoi abitanti. Di questi devastatori criminali, all'epoca definiti no global o black bloc ma che oggi vengono “rispettosamente” chiamati attivisti, alla sbarra se ne sono visti pochissimi. Qualche decina (se si trascurano i 93 prosciolti della Diaz), eppure in piazza a spaccare tutto e a dare addosso alle divise erano in centinaia di migliaia: arrivati da ogni parte d'Italia e dall'estero. Ieri il capo della polizia Antonio Manganelli, di fronte al giudicato penale che condanna i suoi uomini, ha chiesto scusa ai cittadini che hanno subito danni e anche a quelli che, avendo fiducia nell'istituzione, l'hanno vista in difficoltà per l'errore compiuto. Benvengano le scuse del prefetto Manganelli, ma questo non deve indurre  a confondere i piani. Una cosa è la verità processuale, rispettabilissima seppur criticabile, dato che a pagare alla fine sono stati i poliziotti sbagliati: ovvero la cosiddetta catena di comando che infatti in primo grado era stata assolta. Un'altra cosa è la verità storica e cioè Genova devastata da delinquenti armati e in stragrande maggioranza rimasti impuniti o mai individuati. Per dieci presunti colpevoli il prossimo 13 luglio  si dovrà pronunciare la Cassazione. In appello la pena più alta, a 15 anni, era stata comminata a Francesco Puglisi, condannato in primo grado a 10 anni e 6 mesi di reclusione.  Massimiliano Monai, il famoso “uomo della trave di piazza Alimonda”, era stato condannato in primo e secondo grado a 5 anni, mentre per Marina Cugnaschi la condanna era aumentata da 11 a 12 anni e 3 mesi. In generale, il collegio, presieduto da Maria Rosaria D'Angelo, aveva deciso di aumentare le pene per tutti coloro che erano accusati di devastazione e saccheggio, mentre erano stati prescritti i reati di resistenza e danneggiamento. Per questi personaggi, ora definiti “attivisti” alla luce della sentenza Diaz, adesso c'è  chi chiede venga chiuso un occhio, se non entrambi. Come se Genova devastata sia da ricondurre soltanto a un errore della polizia. Ossia alla sentenza Diaz. di Cristiana Lodi

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