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Intercettazioni, Consulta accoglie il ricorso del Quirinale

Conflitto tra poteri, la Corte dà ragione al presidente della Repubblica: non spettava ai pm "omettere di chiedere al giudice l'immediata distruzione" della telefonata

Giulio Bucchi
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  La Corte Costuzionale dà ragione al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e accoglie il ricorso del Quirinale sul caso delle telefonate intercettate dalla Procura di Palermo di Antonio Ingroia che sta indagando sulla trattativa tra Stato e mafia a inizio degli Anni 90. Non spettava alla Procura valutare la rilevanza della documentazione relativa a quelle intercettazioni telefoniche, che coinvolgevano il presidente Napolitano e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino, indagato. In altre parole, come impone la Costituzione, i pm avrebbero dovuto distruggere le intercettazioni non appena appurata la presenza a un capo del telefono del presidente della Repubblica. Per la precisione, come spiega la Consulta nella sintetica motivazione (quella definitiva verrà resa nota a gennaio) dell'accoglimento del conflitto di attribuzione tra poteri sollevato dal Colle contro i magistrati siciliani, non spettava ai pm di Palermo "omettere di chiedere al giudice l'immediata distruzione" di tali intercettazioni, "ai sensi dell'articolo 271, terzo comma, cpp e con modalità idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti". La reazione di Ingroia La sentenza della Corte Costituzionale che ha accolto il ricorso del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, "rappresenta un brusco arretramento rispetto al principio di uguaglianza e all'equilibrio fra i poteri dello Stato". L'ex procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, dal Guatemala, in due interviste a Repubblica e al Corriere della Sera, si dice "profondamente amareggiato" e accusa: "le ragioni della politica hanno prevalso su quelle del diritto". E ancora: "per ragioni politiche prima ancora che giuridiche non c'era altra via d'uscita che dare ragione al presidente della Repubblica". Per Ingroia "la scelta del presidente della Repubblica di sollevare il conflitto di attribuzioni è stata dannosa per l'immagine delle istituzioni italiane nel suo complesso". E insiste: "Ma io non voglio essere visto come un pm sovversivo. Io e i miei colleghi della procura di Palermo vogliamo essere ricordati come quelli che hanno tenuto la schiena dritta per accertare la verità sulla stagione delle stragi". Ingroia non ha dubbi: "Il comunicato emesso dà la sensazione di una sentenza che risente anche del condizionamento del clima politico. Del resto non penso che esistano sentenze che non risentono del clima generale che si respira in un Paese". E osserva: "Forse abbiamo sbagliato a sottovalutare l'impatto mediatico delle strumentalizzazioni, ci siamo preoccupati più di mantenere la segretezza che degli attacchi che sarebbero arrivati al nostro ufficio. Siamo cornuti e mazziati, per usare termini meno giuridici e   più popolari. Noi abbiamo fatto di tutto perchè di quelle   conversazioni non uscisse nemmeno una riga, e infatti non è uscita   nemmeno una riga. Proprio perchè avevamo a cuore la riservatezza del   presidente”, ha aggiunto Ingroia.

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