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Nel suo ultimo libro sembra Celentano: un gorgo di retorica e banalità

Walter Veltroni

Al confronto, i film dei fratelli Vanzina sono dei capolavori di understatement

Andrea Tempestini
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"Il tentativo lo facciamo sempre, di leggere i romanzi di Veltroni senza  pregiudizi, provando a coglierne lettera e spirito senza assopirci dietro  ai luoghi comuni che su di lui abbondano: il buonismo, l'incongruenza  tra la sua carriera di politico politicante e gli annunci di conversioni  missionarie in Africa, il sospetto che dietro i suoi toni melliflui si  nasconda un uomo di potere non meno intollerante di altri. Facciamo  anche piazza pulita della sua sempre più pigra abitudine a volgersi al  passato, per succhiare la linfa vitale dei grand'uomini, anche solo per  dissiparla in un comizio elettorale. Poi, però, leggiamo “L'isola e le rose”, suo ultimo romanzo uscito per Rizzoli (319 pagg., 17,50 euro) e  se anche, per capriccio futurista, volessimo parlarne bene, del libro e dell'autore, non sapremmo proprio come fare. Nonostante gli eroici sforzi di una seria professionista dell'editoria quale Rosaria Carpinelli («che mi segue da tempo», precisa astutamente Veltroni nei verbosi ringraziamenti finali) e dell'editor Massimo Birattari, tecnicamente il libro si può definire un aborto di stampa", commenta tranchant Giordano tedoldi su Libero in edicola oggi. Già, perché nella sua ultima "fatica", Uolter l'africano, sembra Adriano Celentano. Il libro è un gorgo di retorica e banalità al cui confronto i film dei fratelli Vanzina sono capolavori di understatement. Leggi il commento integrale di Giordano Tedoldi su Libero in edicola oggi, mercoledì 29 agosto

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