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Balle e omissioniIl libro di Di Pietro

L'ex pm e leader dell'Idv si autocelebra in un libro: spara giudizi su tutti, ma cela le verità di Manipulite

Matteo Legnani
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Di Pietro in due frasi? Eccolo. Prima frase, pagina 173: «è iniquo che di fronte della diffamazione di una persona sia prevista la pena pecuniaria». Seconda frase, pagina 40: «In tutti questi anni ho incassato  più di un milione e mezzo di euro di risarcimento da parte dei giornali che mi hanno diffamato». Dopodiché viene da scagliare il suo libro dalla finestra, ma forse non abitiamo abbastanza in alto. Chi dice che nessun libro è inutile, del resto, non ha visto questo. Manco è cominciato e già leggi: «Nato a Montenero di Bisaccia nel 1959». Falso, è nato nel 1950. Un errore, capito. Poi: «Ha lasciato la magistratura nel 1994». Falso, spedì la lettera al Csm il 1° aprile 1995 e la delibera è del 27 successivo, con pensione di anzianità dal 6 maggio. Ecco, è un libro tutto così, raffazzonato, denso di rimasticature in alcune parti e di omissioni e balle in altre: questo nelle sezioni più autobiografiche, dove spunta, pure, qualche racconto intimista sulle parentesi meno interessanti della sua vita: e ve lo dice un tizio - lo scrivente - che di biografie su Di Pietro ne ha scritte due. Sulle parti più misteriose della sua vita, naturalmente, non c'è un accidente. La parte più attuale e «politica» è stata palesemente scritta dalla simpatica Morena Zapparoli Funari (vedova) e s'intuisce che Di Pietro si è limitato ad aggiungere qualche frasetta qua e là: e tenuto conto che Di Pietro non ha opinioni stabili o veri pensieri politici (vive di sparate che cambiano da un giorno all'altro, secondo necessità) alla fine il libro è come un congresso dell'Italia dei Valori: non c'è, o dice ovvietà. Il titolo comunque è “Politici, quattordici ritratti insoliti” (Ponte alle Grazie) col dettaglio che non sono insoliti, e che la rivelazione più squassante è che l'Idv non farà alleanze con l'Udc.  Ma quale solennità - Del resto francamente chi se ne frega, compresa - ci perdonerà - l'improbabile solennità con cui la co-autrice spiega che quella di Tonino è «la rude verità dei fatti incontrovertibili della storia». Certo. Per il resto, Casini: Di Pietro dice che è un opportunista e che in passato bussò alla sua porta, mentre anche il Pd, con l'Udc, perde solo tempo. Bene. Berlusconi: soliti ritornelli e racconti su quando gli chiese di fare il ministro. Andreotti: uno che «la grama non la tocca», espressione da ex poliziotto per indicare quelli che non si sporcano le mani coi reati ma  godono dei benefici. Poi: ai tempi di Tangentopoli forse alcuni conti dello Ior erano di Andreotti - scrive - ma le prove non sono mai spuntate. Vendola: un predicatore capace, non un avversario, anzi un possibile collaboratore, e fiorellini vari. Veltroni: «Avrebbe voluto che l'Idv confluisse nel Pd, mentre noi ritenemmo quel partito troppo acerbo, instabile, frammentato». E qui la sintesi grida vendetta: fu lui, nel febbraio 2008, a gridare ai quattro venti che ««Con Veltroni abbiamo fatto un accordo non solo elettorale, ma programmatico, politico e progettuale.... un percorso che porterà alla possibilità di una nostra confluenza in un unico partito... e nel confluire in un unico gruppo parlamentare all'indomani delle elezioni». Poi Di Pietro se ne fotté altamente, perché gli andava così, e perché la sua parola vale uno zero: altro che Pd «acerbo e instabile», nei fatti l'ex pm si tenne ben stretta ogni demagogia e ogni antiberlusconismo (che continuò a usare anche contro il Pd) esattamente come fa oggi e come sempre farà.  Passando oltre: la lungimiranza dipietresca su Bettino Craxi la regaliamo ai lettori dell'Idv, così pure gli errori macroscopici (chiama «governo Craxi» il governo Amato, per dire) e nondimeno le sintesi farlocche che fanno capire che Di Pietro non ha neppure riletto lo sbobinato. I suoi giudizi su Monti e Bersani in compenso paiono scritti da Arnaldo Forlani (un prevedibile copia/incolla di chiaroscuri con personali flashback giudiziari) e così pure accade con l'amico Grillo, da cui lo demarcano «differenze profonde» in quanto «Il movimento 5 stelle intende buttare giù il palazzo, mentre l'Idv intende operare all'interno delle istituzioni per migliorarle... sono due posizioni complementari, due facce della stessa medaglia». Insomma, c'è una «diversità di approccio, Grillo vorrebbe abbattere tutto e subito» mentre Di Pietro - aggiungiamo noi - lo vorrebbe pure, ma è da vent'anni che non ci riesce. Sulle parti strettamente (auto) biografiche si oscilla tra la tentazione di correggere punto per punto e quella di scagliare il libro dalla cima del Pirellone. La sua auto-agiografia è piena di arrotondamenti per romanzo, come il periodo passato da emigrato in Germania (puliva mestoli e lavorava in una segheria) che lui passò in compagnia di un turco, un albanese, un greco e un serbo: dev'essere lì che ha perfezionato il linguaggio. Per non parlare della sua ricostruzione di Mani pulite, una favoletta offensiva anche per il resto del Pool (al quale Di Pietro scippa ogni merito, benché lui interrogasse e basta) e nella quale l'uso del carcere per far confessare viene ovviamente sottaciuto. Scandalosa la sua versione dei fatti sul suicidio di Raul Gardini, che lui descrive come un tapino «suicidatosi un quarto d'ora dopo che m'ebbe telefonato il suo avvocato dicendomi che il suo assistito era disposto a collaborare».  La fine di Gardini - Balle, e pure sonore. Gardini - siamo nel 1993 - aveva semplicemente pensato di potersela cavare come avevano già fatto Carlo De Benedetti e Cesare Romiti: con un memoriale decoroso al momento giusto. Poi, però, venne a sapere che il Pool aveva chiesto un primo mandato d'arresto contro di lui (dapprima respinto) mentre il successivo 16 luglio, quando il mandato di cattura fu riproposto e gli rimase appeso sopra la testa, lo stesso Gardini si dichiarò disponibile a parlare di tutta la vicenda Enimont (soldi ai partiti, contabilità parallela, paradisi fiscali) e chiese un interrogatorio spontaneo mandando in avanscoperta il suo avvocato: ma andò male. Il segnale fu preciso: non volevano interrogarlo, volevano arrestarlo, o meglio, volevano interrogarlo da galeotto. Come finì è noto. Gardini di primo mattino lesse proprio Repubblica (che riportava alcune anticipazioni che lo riguardavano) e si uccise. Di Pietro tutto questo non lo racconta. Di Pietro è troppo impegnato a scrivere, per capirci, che «non ho mai usato la carcerazione preventiva per estorcere una confessione». Scrive così. Com'era? Dalla cima del Pirellone. 

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