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Lavitola: "Silvio doveva farmi fuori"

L'ex direttore dell'Avanti si trova in carcere

L'ex direttore dell'Avanti interrogato sui cinque milioni chiesti a Berlusconi

Eliana Giusto
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  I cinque milioni di euro chiesti a Silvio Berlusconi erano «un debito di riconoscenza». Valter Lavitola, interrogato in carcere dai pm napoletani sul presunto ricatto all'ex premier, definisce così la richiesta di denaro avanzata al Cav. «Ho fatto sette mesi di latitanza per avere dato i soldi a Tarantini per conto suo e, come ha detto il pm Drago, per una presunta falsa testimonianza resa da Tarantini. Quindi io mi sono fatta la latitanza, a me è stato chiuso il giornale, se non fosse stata quella roba di Tarantini», ha detto l'ex direttore dell'Avanti. Che alla domanda del pm «Quindi era legato a un debito di riconoscenza, non al fatto che lei conosce dei segreti di Berlusconi?» ha risposto in maniera chiara, negando di aver mai voluto ricattare il Cavaliere: «È evidente che è così. È dovuto a un atto di riconoscenza per essere precisi, è dovuto a un debito di riconoscenza amplificato dal fatto che se lui dà 120mila a Longhettina, come si chiama lei, e quindi gliene ha dati trenta volte tanto a Black, e ha dato un milione e dispari a Tarantini che li usa per andare al ristorante e che io, altro che estorsione: ... Insomma che sono state parzialmente compensate, ma a me soltanto, voglio dire, tenere a bada a quei due, guardi ma erano cose da pazzi...». L'interrogatorio - Lavitola ha detto di aver dato a Tarantini «un milione e passa di euro a fondo perduto, a titolo di prestito, e Berlusconi sa benissimo che se io dico prestito è prestito, me li avrebbe potuti prestare. Anzi mi sarei aspettato che Berlusconi si fosse fatto vivo lui per dirmi: "Che cavolo vuoi?"». Un lungo interrogatorio, quello davanti ai magistrati partenopei, in cui il giornalista ha parlato dei contributi al suo giornale e alla vicenda legata al presunto ricatto all'ex premier. Nell'audizione, però, non è stata affrontata la questione dei fondi neri di Finmeccanica, quella che vede Lorenzo Borgogni contro l'ad Giuseppe Orsi, la Lega e Cl. L'ex responsabile delle relazioni esterne del Gruppo che ha ricostruito il giro delle presunte tangenti pagate da Finmeccanica attraverso la costituzione di fondi neri, ricavati da un sistema di sovrafatturazione nell'operazione di vendita di 12 elicotteri militari AgustaWestland all'India nel 2010. Commesse “gonfiate” per pagare mazzette che, secondo le accuse di Borgogni (al momento senza riscontri), sarebbero andate in parte al Carroccio e in parte a Comunione e Liberazione.  Il denaro - Di questi passaggi di denaro, in totale 10 milioni di euro, ne avrebbe beneficiato lo stesso Orsi. Sei le Maserati, intestate al suo autista, che sarebbero state “donate” all'ad da parte dei proprietari di alcune società che lavoravano con l'azienda interessata nell'affare. I pm di Napoli dovranno verificare inoltre se i lavori di ristrutturazione nella villa ligure di Moneglia, intestata alla moglie di Orsi, siano stati effettuati da una società assegnataria degli appalti di Agusta. Pesanti accuse, quelle di Borgogni, che hanno fatto andare su tutte le furie Orsi, il quale si è detto «esterrefatto per il modo in cui la mia credibilità personale e professionale venga messa in discussione con tanta superficialità da dichiarazioni “per sentito dire”». Contro Borgogni non solo la Lega, ma anche Cl, indicata insieme al partito del Carroccio come beneficiaria di quei fondi neri. Davanti ai magistrati napoletani, infatti, l'ex manager di Finmeccanica avrebbe parlato dello stretto rapporto tra Orsi e il governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, oltre a una serie di versamenti a favore di Cl. Che ha smentito precisando di non aver «mai preso tangenti da Finmeccanica, né da altri», e ha dato mandato ai legali di tutelare l'onorabilità del movimento. Non accadeva dagli anni di Piombo che Cl passasse alle querele, da quando La Stampa e Il Manifesto la indicarono come «un'organizzazione politica creata dalla Cia». di Rita Cavallaro  

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