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I sindaci italiani licenziano Equitalia

Dal Veneto alla Sardegna, si moltiplicano i Comuni che scelgono di riscuotere le imposte in proprio. Così risparmiano municipi e cittadini

Giulio Bucchi
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Il primo squillo di rivolta legale contro Equitalia era partito da Calalzo di Cadore. Luca De Carlo, sindaco del Comune bellunese, aveva anticipato a Libero il 6 gennaio scorso che, liberandosi dall'esattore e affidandosi alla Comunità Montana Valbelluna, avrebbe risparmiato 20mila euro all'anno. Per il bilancio di un'amministrazione di appena 2.250 abitanti, la riscossione diretta di tasse e multe è una boccata d'ossigeno non trascurabile. Nelle vicinanze, già si respira aria di liberazione. Altro che 25 aprile. Da Santo Stefano di Cadore, fino ai sei municipi della destra e della sinistra del Piave e poi su, fino a Perarolo, Domegge e nelle Comunità montane feltrina e agordina, si diffonde a macchia d'olio l'idea di licenziare la società guidata da Attilio Befera.  Ci vuole così poco, che anche Gian Paolo Marras, sindaco di Ottana, nel Sassarese, lo ha già fatto. Basta approvare una delibera comunale, citando la normativa che dà potere agli enti locali di attivare la riscossione dei crediti secondo modalità proprie che velocizzino le operazioni. Le carte vincenti sono l'articolo 36 della legge 388/2000 e la 166/2011 che stabiliscono che i Comuni possono non servirsi della società creata da Agenzia delle entrate e Inps per la riscossione nazionale dei tributi. Per non perdere tempo nell'attesa che sia il primo cittadino ad accorgersi dell'opportunità, il Movimento Tea Party Italia ha preparato una letterina da inviare al sindaco, per spiegargli come fare. E soprattutto per esporgli l'urgenza di evitare che pesi sui suoi concittadini tutto l'aggravio di aggi, interessi e more che, se intascati da Equitalia, non risultano nemmeno sanzionabili dalla legge antiusura. E comunque è sempre «l'onerato» a pagare «un importo notevolmente superiore perché maggiorato di spese, interessi straordinari e sanzioni». Senza contare i casi, già noti alle cronache, di «conflitto di interesse di funzionari Equitalia operanti anche in agenzie immobiliari relativamente all'acquisto di case messe all'asta» e gli «episodi di cartelle pazze». È vero che sono state presentate pubbliche scuse, ma è sempre meglio non fidarsi. Anche perché «la riscossione dei tributi, nonché dei crediti da parte di Equitalia comporta per il Comune l'obbligo di pagamento di un importo a titolo di provvigione per tale servizio. In sostanza, il tributo introitato dal Comune viene decurtato dell'importo pari alla provvigione dell'ente riscossore», spiegano i promotori dell'iniziativa. Certo, se le amministrazioni locali si dovessero dimostrare altrettanto esose, tanta fatica si rivelerebbe inutile. Ma Giacomo Zucco, portavoce dei Tea Party Italia, crede che non avverrà, in quanto «gli eccessi sarebbero puniti dagli elettori alle urne. Chi ne volesse approfittare si ritroverebbe a pagare in termini di consenso». Inoltre, c'è un conflitto di interessi da risolvere proprio per quanto riguarda Equitalia che, «a livello di divisione di poteri, è guidata dal direttore dell'Agenzia delle Entrate. Un'anomalia che, a livello comunale non si riproporrebbe».  Sul sito www.teapartyitalia.it si può scaricare l'appello da inviare al proprio sindaco o ai consiglieri comunali affinché partecipino alla lotta contro l'eccesso di tasse e di burocrazia. Fra l'altro, la “secessione” da Equitalia si tradurrebbe in un vantaggio per tutti. In primo luogo perché «per il Comune significherebbe un notevole vantaggio economico (che potrebbe essere usato in parte per trovare risorse per abbassare le aliquote Imu, ad esempio) e anche una concreta dimostrazione di sensibilità e vicinanza verso i propri cittadini in un momento di grande difficoltà». Infine l'effetto secondario, ma di certo non meno importante, potrebbe essere un contributo concreto per arginare l'attuale agghiacciante catena di “morti per tasse”, all'apparenza inarrestabile. di Andrea Morigi  

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