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Fedez-Tony Effe, rissa tutta da ridere: si insultano e fanno la figura dei bimbi

Gabriele Galluccio
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C’era una volta il rap. Quello in cui lo stile contava moltissimo, se non proprio tutto. Forse è vero che si stava meglio quando si stava peggio, ovvero quando l’hip hop era un genere per pochi eletti e bisognava essere dei fenomeni per sfondare nel mercato musicale. Adesso il rap domina la scena, che però è invasa da rapperini da strapazzo idolatrati dai giovani e arricchitisi senza rendere onore all’hip hop, ma anzi trascinandolo nel fango. Chi un po’ mastica la materia sarà rimasto inorridito dal cosiddetto “dissing” tra Tony Effe e Fedez.

E a chi invece non ne sa nulla, ma è comunque venuto a sapere degli insulti tra i due, basti sapere che si tratta appunto di becero gossip, non di musica. Questa è l’unica definizione corretta allo scontro tra i due rapperini, con Tony Effe che ha registrato un paio di strofe agghiaccianti, roba da terza elementare, e ha poi partecipato a un botta e risposta con Fedez, ovviamente tramite storie Instagram, che sono la comfort zone di questi sedicenti artisti che in realtà sono più degli influencer.

 

 

Lanciarsi provocazioni e frecciatine via social è roba da giornaletti, non ha nulla a che vedere con i dissing, che nella loro crudità e volgarità sono una forma di arte, se fatti bene. I dissing nascono e muoiono nello studio di registrazione o sul palco e devono essere un esercizio di stile, con due artisti che risolvono conti in sospeso con la musica, in maniera violenta e scorretta. La scorsa estate italiana è stata caratterizzata da un dissing di un certo livello, quello tra Salmo e Luchè, che si sono pesantemente insultati in una serie di pezzi spettacolari.

Tra colpi bassi, favori rinfacciati e offese personali, i pezzi dei due artisti hanno fatto registrare milioni di ascolti. Chi non segue la scena rap si chiede come sia possibile che il dissing sia arte: una domanda assolutamente legittima, perché all’apparenza ci sono due tizi che si insultano per interi brani, facendo ricorso a un largo uso di parolacce. E però bisogna andare oltre alle apparenze, nei dissing conta lo stile, ovvero gli incastri, i giochi di parole, il flow. Insomma, il dissing mostra chiaramente chi sa rappare bene e chi no.

Nel caso di Tony Effe, è un grosso no, almeno per quanto riguarda il freestyle. Il testo partorito per “dissare” Fedez è imbarazzante: non stiamo parlando di contenuti, che ovviamente in questo tipo di scontri sono di basso livello, ma di stile. «Go, go, la Chiara dice che mi adora/Non ti ho lasciato la strofa/Hai chiesto alla mia brutta copia/Ti comporti da tr***/La tua bevanda sa di piscio/L’ho bevuta e mi fa schifo/Guardami, sono bellissimo/Fai beneficenza ma rimani un viscido»: ripetiamo, roba che un bambino di terza elementare avrebbe potuto scrivere meglio. Non contento Tony Effe è poi andato ad infiammare gli animi con una serie di provocazioni nelle storie Instagram. Fedez ha risposto subito, perché lui in queste cose ci sguazza, anzi sono probabilmente le uniche che lo mantengono ancora “rilevante” nella scena.

«Non svegliate il cane che dorme che è un casino poi», ha scritto Fedez, per poi aggiungere: «Il cane ha miagolato. Sistemati la permanente che arrivo, bellezza». Scontata quindi una risposta in studio al dissing di Tony Effe, con la speranza che almeno sia di buon livello tecnico. Di certo la partenza è stata dimenticabile rispetto ai dissing del passato. Senza stare a scomodare quelli dei giganti americani, con lo scontro tra Tupac e Notorious che è finito in un bagno di sangue tutt’altro che metaforico, in Italia negli ultimi vent’anni c’è stata un’eccellente tradizione in materia di dissing.

L’ultimo tra Salmo e Luchè è stato degno di essere definito tale, ma come non citare quelli con protagonisti Fabri Fibra e Vacca e Guè e Inoki. Insomma, se non ci si ferma alle apparerenze - e sopratutto si apprezza questo tipo di “arte violenta” - il dissing è una cosa seria. In mano a soggetti come Tony Effe e Fedez scade nel ridicolo, ma alla fine gli abbiamo addirittura dedicato un pezzo, quindi i due rapperini hanno raggiunto il loro scopo: se ne parla male, ma se ne parla ovunque.

 

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