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Ilary Blasi e Francesco Totti, le corna: ciò che nessuno ha il coraggio di dire
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Amanti. Una volta gli amanti erano Paolo e Francesca. Certo, colpevoli e perciò messi all'inferno da Dante, ma grandiosi, eroici, mitici. "Amor ch' a nullo amato amar perdona". Oggi l'inferno consiste nella condanna generale, nel disprezzo, nell'alzata sdegnosa di spalle. Sto pensando naturalmente alla vicenda Totti-Blasy. Come è possibile che più di sette secoli dopo, ancora non riusciamo a perdonare - anzi ad esaltare - l'atto dell'amare? La parola amante viene da lì. Dal verbo amare. Ne è il participio presente. Voi non credete che se c'è amore, tutto il resto è un dettaglio? Evidentemente no. L'amante per definizione è la rovina famiglie, la responsabile indiscussa della fine di una storia d'amore.
E non importa se quell'amore era grande solo nell'immaginario collettivo, se quell'amore raccontato sui giornali non rispecchiava la realtà. Qualcosa deve necessariamente aver spezzato l'incantesimo e non si accetta che la causa sia da ravvedere in un decorso naturale, in un inizio ed una fine di una passione, di un progetto insieme, no, non è accettato. Ci deve essere un colpevole, ancora meglio se una donna.
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Avete mai sentito appellare un uomo come rovina famiglie? No. Questo stigma è solo appannaggio della femmina. Lei che sfodera le sue armi micidiali per irretire l'uomo innamorato e portarlo nella sua trappola mortale. E non c'è più scampo per il maschio. La femme fatale ha compiuto il suo dovere. Lo ha strappato alla famiglia perfetta, all'alcova che sembrava inscalfibile. Sembra non esistere narrazione diversa. E la vicenda Totti-Blasy ne è la dimostrazione. Ancora non erano stati diramati i comunicati ufficiali che già si erano materializzati gli spettri degli amanti. Chat scoperte, fughe nella notte, scoop inequivocabili. Ecco trovati i colpevoli, o meglio, la colpevole, visto che è molto più sexy ed accattivante quando si parla di presunti amanti, spostare tutta l'attenzione su una lei. La peccatrice è femmina per definizione. Mi perdonerete se mi dissocio totalmente dal racconto che sta emergendo rispetto a questa blasonata separazione.
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Sono ancora dell'antica idea che quando un amore finisce accada per cause naturali e mai per responsabilità terze. Che quando in una storia subentra un'altra persona le sia stato permesso di entrare perché probabilmente qualcosa già scricchiolava. E non spetta a noi stabilire se sia giusto o no cedere alle tentazioni. Non spetta a noi giudicare le scelte personali solo perché quella coppia era stata santificata dall'opinione pubblica. Troppo spesso ci dimentichiamo che i sentimenti, le pulsioni, le passioni, appartengono alle persone, non ai personaggi. E bisogna accettare che anche loro possano essere travolte da crisi normali, che smettano di amarsi come persone normali e che possano o meno tradirsi come persone normali. Senza dover scaricare su terzi la responsabilità di un epilogo che probabilmente era già stato segnato prima. La verità è che come in tutte le vicende del gossip prevale l'ipocrisia. L'ipocrisia di massa. La necessità di sentirci giusti e virtuosi e di dimostrare la prova della nostra virtuosità nella colpa dell'altro. «Meglio se l'altro è famoso, ricco, di successo. Perché allora all'ipocrisia si somma l'invidia. Dobbiamo rassegnarci a queste miserie? Temo di sì. Perché la verità vera è che il senso comune si costruisce con queste materie qui: invidia e ipocrisia. Scusate se non mi unisco a questa schiera: Viva chi ama.
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