
Diciotti, la Cassazione condanna il governo: "Dovrà risarcire i migranti"

La Cassazione ha deciso: il governo dovrà risarcire i migranti del caso Diciotti. Le toghe hanno accolto così il ricorso presentato da un gruppo di migranti a cui, dal 16 al 25 agosto del 2018, fu impedito di sbarcare dalla nave della Guardia Costiera che li aveva soccorsi in mare. All'interno dell'istanza veniva chiesta la condanna dell'esecutivo a risarcire i danni non patrimoniali determinati nei profughi, come la privazione della libertà. Il collegio ha sì rinviato al giudice di merito la quantificazione del danno, ma ha comunque condannando il governo all'epoca guidato da Giuseppe Conte.
Una vicenda spinosa e che ha visto il Tribunale dei ministri di Palermo indagare l'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini. L'accusa? Sequestro di persona. Il caso è stato successivamente trasmesso a Catania per competenza territoriale, con la Procura che ha chiesto l'archiviazione. Ma la disputa non è finita qui: Il tribunale dei ministri locale ha respinto la richiesta chiedendo al Senato l'autorizzazione a procedere per il leader della Lega. A Palazzo Madama (erano i tempi del Governo M5S-Lega) la Giunta per le Autorizzazioni a procedere ha però votato contro.
E oggi arriva la sentenza della Cassazione, per cui "va certamente escluso che il rifiuto dell'autorizzazione allo sbarco dei migranti soccorsi in mare protratto per dieci giorni possa considerarsi quale atto politico sottratto al controllo giurisdizionale. Non lo è perché non rappresenta un atto libero nel fine, come tale riconducibile a scelte supreme dettate da criteri politici concernenti la Costituzione, la salvaguardia o il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione".
Ancora: "Non si è di fronte, cioè, ad un atto che attiene alla direzione suprema generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali.- spiegano - Si è in presenza, piuttosto, di un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico, al fine di contemperare gli interessi in gioco e che proprio per questo si innesta su una regolamentazione che a vari livelli, internazionale e nazionale, ne segna i confini. Le motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo".
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